N.12745/13 – La separazione giudiziale non giustifica il mancato rinnovo del permesso di soggiorno del coniuge straniero
La separazione giudiziale non giustifica il mancato rinnovo del permesso di soggiorno del coniuge straniero e ai fini dell’importo dell’assegno di mantenimento la precedente convivenza è rilevante
In conseguenza della cessazione di un rapporto di matrimonio tra cittadino italiano e straniero non può essere negato a quest’ultimo il rinnovo del permesso di soggiorno.
E’ quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con la recente sentenza 12745 depositata il 23 maggio, con la quale è stato rigettato il ricorso della Questura di Verona contro il provvedimento della Corte d’Appello di Venezia che aveva accolto il reclamo di una cittadina di origini straniere.
La donna si era opposta al provvedimento del Tribunale di Verona che aveva confermato il rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di famiglia. “Tale diniego – si legge nella sentenza – era stato motivato dalla sopravvenuta cessazione della convivenza tra la richiedente e il coniuge italiano, con conseguente venir meno della condizione richiesta dall’articolo 19, secondo comma lettera c) del Dlgs 286 del 1998 e dall’articolo 30, comma 1 bis del Dlgs 286 del 1998″.La Corte d’Appello aveva accolto il ricorso della donna argomentando che “la cessazione di fatto della convivenza, dopo almeno sette anni di matrimonio e di convivenza effettiva attestata dai due precedenti permessi di soggiorno per motivi familiari rilasciati alla cittadina straniera , è inidonea a far venire meno le condizioni per il rinnovo del predetto permesso, non potendo il vincolo coniugale in oggetto essere ritenuto fittizio”.
Il ministero dell’Interno e la Questura di Verona si erano opposti sottolineando, tra le altre cose, che il permesso di soggiorno richiesto dalla donna il giorno successivo al matrimonio le era poi stato rinnovato e successivamente revocato dopo aver verificato che era cessata la convivenza.
La Cassazione ha evidenziato che tra i criteri di “riconoscimento iniziale e conservazione dei titoli di soggiorno” non si può far rientrare la convivenza effettiva. Nella sentenza viene precisato anche che la legge stabilisce che “il familiare che non abbia già ottenuto la carta di soggiorno permanente perde il diritto al soggiorno (in assenza di figli minori) se il matrimonio è durato meno di tre anni di cui almeno uno sul territorio nazionale”. In questo caso specifico, la Cassazione ha concluso che, non trattandosi di un matrimonio fittizio, vista la durata di sei anni, la fine della relazione non può giustificare il mancato rinnovo del permesso di soggiorno.
Foggia, 27 maggio 2013 Avv. Eugenio Gargiulo
La “convivenza prematrimoniale” risulta rilevante giuridicamente per l’ addebito ed il mantenimento in caso di separazione giudiziale!
La Corte di Cassazione, I sezione civile, con la recente sentenza n. 15486/2013, depositata il 20.06.2013, ha confermato le decisioni del Tribunale di Pistoia e della Corte di Appello di Firenze, riconoscendo che la convivenza di fatto prima del matrimonio, durato solo un mese, ha rilevanza ai fini dell’addebitabilità della separazione e ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento che deve essere parametrato sul generale tenore di vita della coppia anche prima del matrimonio.
Il caso riguardava una coppia che aveva convissuto per un certo periodo e che giunta al matrimonio, dopo appena un mese, si era separata. La moglie aveva, infatti, presentato ricorso per separazione a causa del carattere irascibile e violento del marito che aveva portato a frequenti e gravi episodi di violenza, anche a causa dell’assunzione regolare di alcol e stupefacenti.
Il Tribunale di Pistoia, rilevato in fatto che il marito aveva ripetutamente percosso la moglie sia durante la convivenza sia durante il matrimonio, aveva pronunciato la separazione con addebito al marito, disponendo anche un assegno a titolo di mantenimento di 350,00 euro in favore della moglie, che al momento risultava disoccupata.
Il marito aveva appellato la sentenza, ma la Corte territoriale aveva confermato la decisione del giudice di primo grado. Si era, pertanto, arrivati in Cassazione, dove l’uomo aveva rilevato la violazione degli artt. 143 e 151 c.c., perchè era stato illegittimamente tenuto conto, ai fini della dichiarazione di addebito, del comportamento precedente al matrimonio. Inoltre entrambi i coniugi, nel corso della brevissima convivenza matrimoniale, avevano assunto entrambi sostanze stupefacenti e alcol.
Aveva , inoltre, rilevato la violazione dell’art. 156, secondo comma c.c. , per avere imposto e determinato un assegno di mantenimento stante la brevità del matrimonio che non consentiva la stima di un tenore di vita comune cui commisurare l’assegno.
La Corte Suprema ha ritenuto il ricorso infondato. La motivazione fornita dalla Corte di Appello appare corretta e priva di vizi logici e viene condivisa. In particolare, il periodo di convivenza prematrimoniale è rilevante quando si colloca rispetto al matrimonio come un periodo di convivenza continuativo. Ciò permette di valutare complessivamente la vita della coppia. Il comportamento violento del marito è stato costante e continuo nel periodo di convivenza prematrimoniale e nel matrimonio.
Lo stesso vale per il riconoscimento del mantenimento poiché l’impossibilità di determinare un tenore di vita a causa della brevità del matrimonio, non impedisce di individuare la somma sulla base del reddito del marito e sulla base delle esigenze di sussistenza moglie.
La sentenza è importante perché riconosce valore alla convivenza prematrimoniale intesa come una fase della vita della coppia che ha preceduto senza interruzioni il matrimonio, soprattutto quando non è possibile operare una distinzione fra il comportamento dei coniugi nella fase pre-matrimoniale e in quella matrimoniale.
Foggia, 30 luglio 2013 Avv. Eugenio Gargiulo