N.1439/20 – Mantenimento dei figli, il regime delle spese straordinarie non concordate – di Marino Maglietta
Una recente pronuncia del giudice di Pace di Casoria si pone in consapevole contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità (sentenza n. 1439/2020)
Ordinate e sensate argomentazioni di un Giudice di Pace mettono in discussione le posizioni assunte negli ultimi tempi dalla Suprema Corte in merito alle spese non concordate che esulano dall’ordinario, effettuate per i figli di genitori separati; posizioni in contraddizione con quanto più convincentemente la stessa Suprema Corte aveva affermato, che rimarcano la distanza tra la presente prassi della giurisprudenza di legittimità e le indicazioni della riforma del 2006.
Si tratta della sentenza 13-15 giugno 2020, n. 1439 (testo in calce) del GdP di Casoria
La fattispecie
La vicenda vede il rifiuto di un padre di rimborsare per la propria parte spese effettuate senza consultarlo dalla ex, previste dal Tribunale di Napoli (sentenza 793/2015) tra quelle da concordare. Al decreto ingiuntivo ottenuto dalla signora viene fatta opposizione presso il Giudice di Pace (GdP) di Casoria. Questa viene accolta con motivazioni che non si limitano alla fattispecie – negando l’applicabilità specifica di precedenti pareri della Suprema Corte che la signora aveva invocato per ottenere il decreto ingiuntivo – ma di quei pareri si contesta l’intero impianto argomentativo per motivi di carattere sistematico: pertanto con potenziali ricadute di carattere generale.
In breve, la signora aveva fatto affidamento sull’ordinanza 2127 del 3 febbraio 2016 della Suprema Corte, secondo la quale “Non è configurabile a carico del coniuge affidatario o presso il quale sono normalmente residenti i figli, anche nel caso di decisioni di maggiore interesse per questi ultimi, un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro genitore in ordine alla effettuazione e determinazione delle spese straordinarie che, se non adempiuto, comporti la perdita del diritto al rimborso”. Uniche condizioni sarebbero la rispondenza della spesa all’interesse dei figli e la sua sostenibilità economica, secondo quanto confermato da più recente Cassazione civile (n. 21726 del 2018).
L’analisi del Giudice di Pace
Obietta immediatamente il GdP che ai sensi dell’art. 2909 c.c. (“L’accertamentocontenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”), in presenza di una specifica disposizione del tribunale – come nel caso di specie – ad essa occorre fare riferimento, a prescindere dal generico orientamento della Suprema Corte. Pertanto, poiché l’accordo tra le parti, recepito dal giudice, prevedeva esplicitamente che il padre si impegnasse “a contribuire, in ragione del 50%, alle spese mediche non coperte da SSN, spese scolastiche, sportive e ludiche, da concordarsi preventivamente”, non c’è spazio per interpretazioni difformi. D’altra parte – prosegue l’analisi per puro scrupolo dialettico – per poter utilizzare l’orientamento della Cassazione si dovrebbe ammettere che le spese elencate nell’accordo fossero solo facoltative e non rispondenti all’interesse della prole. In tal caso, infatti, i due organismi si sarebbero espressi su oggetti diversi e quindi pareri diversi sarebbero ugualmente compatibili. Appare, tuttavia, del tutto inverosimile che ci si sia preoccupati di disciplinare ciò che è secondario trascurando l’essenziale.
A questo punto il GdP considera una possibile obiezione esaminando le conclusioni di Cass. n. 21726/2018 a partire dal deciso del TO di Vercelli, secondo il quale sarebbero state da concordare, salvo urgenze, “Le spese mediche non corrisposte del SSN che si rendessero necessarie per i figli”. In tal caso la Suprema Corte nel riaffermare l’obbligo di rimborso a dispetto del mancato accordo sviluppa il ragionamento affermando: “tuttavia va rilevato … che la necessità, prevista nella richiamata sentenza del tribunale di Vercelli, di un accordo tra i genitori circa le spese mediche non riferibili al servizio di assistenza sanitaria implica l’assenza, in detta previsione, dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità del credito, e, quindi, la necessità di un intervento giudiziale che, a prescindere dall’accordo non raggiunto, verifichi la sussistenza o meno dell’obbligazione; invero, nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di procedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità e della sostenibilità della spesa stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori (Cass. n. 16175 del 30 luglio 2015,. Cass. 23 febbraio 2017, n. 4753). Appare però evidente dalla linearità ed estrema chiarezza del testo di Vercelli che questo intendeva semplicemente stabilire un dovere di concertazione per le spese necessarie e non urgenti, tali cioè da consentire tecnicamente la consultazione tra i genitori. Senza se e senza ma. La Suprema Corte, quindi, prosegue il GdP, affermando che la spesa va preventivamente concordata solo se di entità incerta e simili, snatura la scelta di primo grado, forzandola ad aderire alla propria ideologica visione, in violazione dell’art. 2909 c.c.
D’altra parte – e con ciò il GdP prende maggiormente le distanze dalle posizioni della Cassazione, contestandone la filosofia stessa – alle stesse conclusioni si perviene anche per altra via, ovvero considerando che si può anche aderire alla necessità dell’investimento, ma dissentire sul modo di realizzarlo. Se ciò si nega si stravolge la natura stessa dell’affidamento condiviso, in pratica sostenendo che un genitore (tipicamente il “collocatario”) può permettersi di inchiodare l’altro alle proprie iniziative, rispetto alle quali si può solo aderire o no: in tal modo sopprimendo la dialettica e il contributo che ciascun genitore può fornire in merito al dove, al come e al quando. Con felici espressioni conclude dunque il GdP: “. “Le disposizioni dei Tribunali, quindi, non solo sono vincolanti, ma si caratterizzano anche per essere armoniche con l’attuale normativa e discostarsi da esse, nei termini indicati dalla Suprema Corte, realizzerebbe una interpretatio abrogans, riproducendo, nei fatti, l’antico schema, che a partire dalla riforma della Legge 54/2006 si è inteso superare, dei genitori isolati anziché dialoganti e cooperanti, poiché caratterizzato da un decidente e da un mero pagante.”.
Partendo, dunque, da un piccolo e comunissimo episodio di contestazione successivo alla rottura del legame di coppia quel giudice giunge mirabilmente ad evidenziare profondi scompensi applicativi e, più gravemente, interpretativi, di tale rilevanza da vanificare una riforma per sua natura a tal punto epocale da essere stata definita “rivoluzione copernicana”.
I precedenti della giurisprudenza di legittimità
Chi scrive, tuttavia, si sente in dovere di completare sotto il profilo giuridico l’analisi della vicenda aggiungendo una indagine retrospettiva all’interno della giurisprudenza di legittimità, avendo constatato come, partendo da antiche ineccepibili considerazioni, non di rado la Suprema Corte, riproducendo in automatico parti di precedenti pronunce senza porre la necessaria attenzione allo specifico significato e al contesto, abbia finito per capovolgere il senso dei suoi stessi precedenti orientamenti. Ne sono convincente esempio proprio le citazioni che ricorrono nella presente fattispecie e le conclusioni che ne vengono tratte.
Riprendiamo, dunque, le sentenze prima rammentate, Cass. n. 16175 del 30 luglio 2015 e Cass. 23 febbraio 2017, n. 4753. La prima di queste a sua volta rimanda a Cass. 10174/2012, della quale tuttavia dà una lettura non condivisibile. Si legge, infatti in quella del 2015: “Nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate dovrà verificarsi in sede giudiziale (crf. Cass. civ. sezione I n. 10174 del 20 giugno 2012, in tema di rilevanza relativa dell’accordo dei genitori sul contributo al mantenimento dei figli che non assume carattere vincolante dovendo il giudice ispirarsi all’esclusivo interesse del minore), la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione … della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità per il minore e della sostenibilità della spesa stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori.”
Si tratta, dunque, di una affermazione di per sé autoreferenziale, ovvero che non argomenta le proprie conclusioni, ma si sostiene solo sul ragionamento della precedente pronuncia alla quale rimanda. Solo che Cass. civ. 10174/2012 afferma l’esatto opposto. Ovvero, rammenta il diritto dovere del giudice di ispirarsi all’interesse del minore solo per affermare che eventuali accordi tra i genitori non sono per lui vincolanti, che può modificarli ove ravvisi l’interesse a farlo (articolo 337 ter c.c. comma II). Non a caso, proseguendone la lettura, censura radicalmente l’effettuazione di spese straordinarie senza consultazione non solo come concretamente difformi dalle prescrizioni di legge, ma anche come contrarie alla ratio legis, svolgendo considerazioni che vale la pena di riportare integralmente, poiché contraddicono totalmente le posizioni erroneamente attribuite alla Suprema Corte (o da questa erroneamente assunte) in materia di mantenimento dei figli:
“Nell’esaminare quest’eccezione, la Corte territoriale non ha tenuto conto che l’affidamento congiunto comporta l’assunzione di uguali poteri e responsabilità da parte dei genitori, ai fini dello sviluppo psico-fisico del figlio e della sua formazione morale e culturale, richiedendo a ciascuno di essi un personale impegno nella realizzazione di un progetto educativo comune, la cui elaborazione non può risolversi nella passiva acquiescenza di un genitore alle scelte unilateralmente compiute dall’altro, ma esige una costante e preventiva consultazione reciproca, volta ad una sollecita percezione delle necessità del minore e all’identificazione dei mezzi più convenienti per farvi fronte. In questo contesto, la previsione dell’obbligo di provvedere alle spese necessarie per certi bisogni, non determinati né preventivamente determinabili sotto il profilo quantitativo, non può assumere altro significato che quello di un rinvio della relativa quantificazione alla concorde determinazione di assicurare la soddisfazione di tali necessità e all’individuazione delle risorse da destinarvi, conformemente alle finalità educative perseguite È solo in questo modo, d’altronde, che può essere assicurata quell’effettiva compartecipazione alle scelte riguardanti la crescita e la formazione del figlio in cui si sostanzia la c.d. bigenitorialità, quale principio solennemente affermato a livello internazionale dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e ratificata con legge 27 maggio 1991, n. 176, che ha trovato attuazione in materia di separazione e divorzio attraverso la legge 8 febbraio 2006, n. 54, la quale ha modificato l’art. 155 cod. civ., introducendo l’istituto dell’affidamento condiviso.” Ove occorre fare attenzione al riferimento agli aspetti qualitativi, per non cadere nell’errore di concludere che la consultazione è necessaria solo quando esistono margini di indeterminazione sul quantum. Una conclusione cui si giunge inequivocabilmente quando si riflette sulle precedenti affermazioni di carattere generale, qui evidenziate, che confermano esattamente la parte di maggiore ampiezza delle riflessioni del GdP.
D’altra parte, neppure la seconda citazione si presenta come appropriata e convincente. Nella fattispecie l’effettuazione e la contestazione delle spese abbracciano un lungo arco di tempo, tanto da occupare il periodo antecedente sia, in parte, alla separazione che alla riforma del 2006. Viene, pertanto, introdotta una ulteriore distinzione, ovvero tra spese – necessarie o meno – di maggiore interesse per il figlio oppure no. Ciò perché la creditrice giustificava il mancato preavviso al coniuge con la giurisprudenza anteriore all’intervento legislativo del 2012/2013, secondo il quale l’obbligo di rimborso prescindeva dalla concertazione, per cui contestava una applicazione retroattiva dei nuovi orientamenti. Perduta la causa in prima e seconda istanza essa adiva la Suprema Corte, lamentando che l’interpretazione data alla norma avrebbe comportato “una lesione degli interessi del minore di fronte a rifiuti ingiustificati del genitore non collocatario”. Tuttavia la risposta della Corte era ancora negativa, sia pure per motivi difformi, in parte, da quelli utilizzati dalle corti di merito ed esposti in modo meno lineare. Infatti questa affermava che, “la giurisprudenza di legittimità invocata dalla ricorrente prevede, comunque, nel regime precedente la L. n. 54 del 2006, l’obbligo di concertazione per le decisioni di maggiore interesse e non esclude il sindacato del giudice sulla soggezione del coniuge non affidatario al rimborso delle spese necessarie non concordate”. Ciò perché se è vero che prima della riforma del 2006, potendo il genitore non affidatario intervenire solo in merito a decisioni di maggiore interesse per i figli, tutti gli investimenti che non fossero collegati a decisioni principali non erano soggetti ad obbligo di concertazione, ciò non sottraeva la parte all’intervento del giudice, essendo sempre possibile che questi determinasse, “oltre che la misura, anche i modi con í quali il coniuge non affidatario contribuisce al mantenimento dei figli.” Una conclusione, tratta per il regime ante affidamento condiviso, che torna a pennello sia con la prevalenza attribuita al giudice dall’art. 2909 c.c.; sia con la normativa attuale che ancora al comma II dell’art. 337 ter c.c. attribuisce al giudice facoltà di delineare i modi di assolvimento dell’obbligo economico; sia, nelle successive considerazioni applicative relative alla fattispecie, con le motivazioni di diritto e di buon senso con le quali il GdP dà torto alla istante. Recita, infatti, Cass. 4753/2017: “Secondo la giurisprudenza più recente non è configurabile a carico del coniuge affidatario un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro coniuge in ordine alla determinazione delle spese straordinarie, trattandosi di decisione “di maggiore interesse” per il figlio e sussistendo, pertanto, a carico del coniuge non affidatario, un obbligo di rimborso qualora non abbia tempestivamente addotto validi motivi di dissenso. Ne consegue che, nel caso di mancata concertazione preventiva e di rifiuto di provvedere al rimborso della quota di spettanza da parte del coniuge che non le ha effettuate, il giudice è tenuto a verificare la rispondenza delle spese all’interesse del minore mediante la valutazione della commisurazione dell’entità della spesa rispetto all’utilità e della sostenibilità della spesa stessa rapportata alle condizioni economiche dei genitori (Cass. civ. sez. 6-1 ord. n. 16175 del 30 luglio 2015). Nella specie tale verifica della rispondenza delle spese all’interesse del minore è stata compiuta dal giudice di merito rilevando che il rifiuto di provvedere al loro rimborso si era basato giustificatamente sulla possibilità di affrontare la spesa medica necessaria mediante l’utilizzazione della convenzione sanitaria correlata all’attività professionale del padre”.
Una motivazione, si diceva, meno lineare della precedente, sia perché mescola istituti definiti in modo diverso (prima e dopo la riforma del 2006) e ruoli differenti dei genitori; sia perché di conseguenza utilizza una distinzione che oggi ha mutato valenza tra decisioni principali e secondarie; sia perché introduce un poco comprensibile paletto laddove sostiene il diritto a non rimborsare solo qualora ci si sia opposti “tempestivamente” e con valide ragioni (espressione metagiuridica che lascia scoperta la più comune delle situazioni, ovvero quando si apprende dell’onere solo a cose fatte). Dopo di che rimanda alla 16175/2015 della quale si è già mostrata la non utilizzabilità ai fini della tesi sostenuta. Resta, tuttavia, il fatto che legittima il rifiuto paterno con argomenti che non poggiano sulla opposizione alla spesa medica, di per sé non dissentibile, ma sulla modalità di effettuarla. Esattamente quanto sostenuto dal GdP di Casoria quando, di fronte a spese sanitarie non concordate sostiene il diritto alla contestazione, poiché in tal modo il genitore non collocatario era stato “privato del diritto di conoscere le patologie che necessitavano della prestazione, di influire sulla scelta del medico, dell’ottico o della struttura sanitaria cui rivolgersi, di esprimere il suo parere tra le varie eventuali alternative terapeutiche suggerite, o, di incidere sui tempi chiedendo, ad esempio, un ragionevole differimento in presenza di una momentanea obiettiva situazione di difficoltà economica”.
Conclusioni
Quanto qui esaminato documenta interessanti aspetti giuridici. Anzitutto appare degno di nota che le criticità dell’operato della Suprema Corte vengano evidenziate in giurisprudenza e non in dottrina, come sarebbe più naturale, quanto meno in ordine di tempo. In secondo luogo, rilevate le disfunzioni dei criteri attuali è istintivo chiedersi quale ne sia la fonte e come sia possibile prevenirle.
Certamente gioverebbe adottare una diversa classificazione delle spese “straordinarie” e di conseguenza della modalità di gestirle. Al momento si intendono per tali quelle “non comprese nell’assegno di mantenimento”. E su questo principio è organizzata la quasi totalità dei protocolli sottoscritti nei tribunali, oltre a quello del CNF, il cui effetto di trascinamento è ben visibile nella giurisprudenza. Ora, al di là del fatto non secondario che un simile impianto cozza con la forma diretta del mantenimento privilegiata dalla legge in vigore – in forza della quale tutte le voci di spesa già esistenti o prevedibili vengono attribuite per intero all’uno o all’altro dei genitori, costruendo il rispettivo pacchetto in modo da rispettare la proporzionalità del sacrificio con le risorse di ciascuno – il difetto pratico, gravissimo, di questo approccio consiste nel fatto che lascia sistematicamente indefinito chi si debba attivare quando si manifesta un bisogno non ordinario dei figli, legittimando entrambi i genitori. E’, quindi, esattamente questa la fonte dei lamentatissimi problemi legati ai mancati rimborsi qui discussi.
Identificata la matrice degli scompensi va in automatico la soluzione, che lascia fuori solo le situazioni imprevedibili: basterebbe applicare fedelmente le norme in vigore, come sopra accennato, per evitare sorprese e contestazioni nella maggior parte dei casi, dando un grosso taglio al contenzioso. Per le altre, imprevedibili e non urgenti, si procederà con obbligo di consultazione, come la stessa Suprema Corte aveva originariamente indicato.
Tutto ciò premesso, la ricostruzione completa del provvedimento di Casoria e dei suoi riferimenti giurisprudenziali qui presentata se ci si limitasse all’argomento in sé potrebbe dare la sensazione di una esercitazione accademica abbastanza marginale – sia pure in materia assai delicata. Ne emerge, tuttavia, a ben guardare, un messaggio di ben più ampio respiro. Già sorprende non poco la distanza presa da un GdP rispetto a quelli che oggi vengono presentati come “consolidati orientamenti” della Suprema Corte. Ma ancor più sorprende ciò che si è scoperto scavando nella giurisprudenza di legittimità. Il rigetto, oggi dominante, delle istanze di chi, in affidamento condiviso, non intende avallare, pagando, scelte dalle quali è stato completamente escluso è spia evidente delle attuali simpatie della Suprema Corte per il modello a genitore prevalente, che il legislatore del 2006 voleva mandare in soffitta. Quel “no”, infatti, non è tecnico, ma ideologico. E’ dunque di fondamentale importanza riscoprire il diverso ragionamento/orientamento della stessa Suprema Corte nella citata 10174/2012, quella sua lucida esaltazione della bigenitorialità e delle irrinunciabili modalità per viverla davvero, poi tradita nei fatti. Inevitabile rammaricarsene: video meliora proboque, deteriora sequor.
GDP CASORIA, SENTENZA N. 1439/2020 >> SCARICA IL TESTO PDF