N. 18076/14 – Assegnazione casa familiare mai “a vita”: la moglie prima o poi deve sloggiare
Stop al parassitismo se i figli raggiungono età da lavoro e restano inerti e disoccupati. Di norma, la casa coniugale viene assegnata a chi dei due ex coniugi è anche affidatario dei figli (in genere la mamma). Ma ciò non significa che tale assegnazione duri in eterno. Difatti, l’abitazione va restituita al legittimo proprietario non affidatario quando la prole raggiunge una propria autonomia economica o quando il genitore affidatario va a vivere, con i figli, altrove.Ma, una importate sentenza di ieri della Cassazione ha indicato un’altra ipotesi. Se i figli, benché “cresciutelli”, perseverano in un totale “parassitismo” ai danni del genitore, senza darsi pena di trovare un lavoro, allora, anche in questo caso, loro ed il canuto genitore affidatario devono lasciare la casa coniugale.
Esiste una soglia di età – dice la Suprema Corte – superata la quale deve ritenersi concluso ogni percorso formativo e, pertanto, la persistenza dei figli in casa dei genitori rivela un volersi approfittare delle cure altrui. Anzi, raggiunta la maturità, dovrebbero essere proprio i figli a mantenere mamma e papà, in ossequio a un generale dovere solidaristico all’interno della famiglia.
Il padre, dunque, ha tutto il diritto di chiedere indietro la casa coniugale concessa alla ex moglie affidataria dei figli, se questi hanno ormai da tempo superato la quarantina.
Nessuna attenuante per i figli bamboccioni
È vero che, nel regolare regime dell’onere della prova, deve essere colui che chiede la restituzione dell’immobile (il padre) a dover dimostrare l’inerzia dei figli nella ricerca di un posto di lavoro e del raggiungimento dell’indipendenza economica. Ma è anche vero – sottolineano i giudici – che raggiunta l’età degli “…anta”, questa inerzia è già dimostrata dai fatti stessi. In pratica, basta la semplice indicazione dell’età anagrafica per provare che – nonostante i tempi di crisi e le difficoltà occupazionali – non si è fatto un granché per trovare un’occupazione.
In questi casi la richiesta di un prolungamento del diritto al mantenimento non può trovare tutela nei tribunali. Per i giudici, la pretesa di restare nella casa paterna basata sull’unico argomento della disoccupazione non va accolta dopo i quaranta.
Complice la crisi, la giurisprudenza sta rivedendo le proprie posizioni oltranziste a tutela della donna. Già questo inverno una sentenza della Corte di Appello di Catania aveva gettato un’accusa forte nei confronti della “generazione Neet”: i figli che rifiutano il posto nel call center possono perdere il mantenimento, avevano detto i giudici siciliani. Ed ancora, la stessa Cassazione aveva chiarito che al figlio adulto senza lavoro non spetta più l’assegno di mantenimento; stessa sorte per il figlio ultra trentenne che non viglia lavorare nell’azienda di famiglia.
Cass. sent. n. 18076 del 20.08.2014.
Fonte: laleggepertutti.it