N.19182/14 -Licenziamento del figlio maggiorenne, se incolpevole, è sufficiente per conservare il diritto al mantenimento
L’obbligo dei genitori di concorrere fra loro al mantenimento dei figli secondo le regole dell’art. 148 c.c.c non cessa “ipso facto” con il raggiungimento della maggiore età da parte di quest’ultimi, ma perdura, immutato, finchè il genitore interessato alla declaratoria della cessazione dell’obbligo stesso non dia la prova che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, …. ….. ovvero che il mancato svolgimento di una attività economica dipende da un atteggiamento di inerzia o di rifiuto ingiustificato dello stesso, il cui accertamento non può che ispirarsi a criteri di relatività, in quanto necessariamente ancorato alle aspirazioni, al percorso scolastico, universitario e post-universitario del soggetto ed alla situazione attuale del mercato del lavoro, con specifico riguardo al settore nel quale il giovane abbia indirizzato la propria formazione e la propria specializzazione.
Pertanto il dovere genitoriale al mantenimento non dipende dall’età del figlio, ma dal raggiungimento da parte del medesimo di una situazione di indipendenza economica alla quale è da equipararsi il mancato conseguimento della stessa per cause imputabili al figlio come pigrizia o scarsa volontà di applicarsi (Cass. n. 14123/2011; Cass. n. 11828/2009).
Circostanze che sicuramente non riguardano il caso di specie, rispetto al quale la Suprema Corte di Cassazione, confermando quanto deciso dalla Corte d’Appello di Bari, sciogliendo ogni dubbio giurisprudenziale in materia, con ordinanza n. 19182 dell’11 settembre 2014, rigettava la richiesta di un padre che chiedeva la revoca dell’assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne, confermandone il sostentamento.
Decisione che trovava fondamento nell’encomiabile scelta del giovane a cercare di rendersi autosufficiente alla sola età di 23 anni, subendo, dopo un breve periodo di lavoro, un incolpevole e non voluto licenziamento, senza alcuna attivazione di ammortizzatori sociali (cassa integrazione, ecc.), la cui assenza induceva Piazza Cavour a considerare tale posizione lavorativa di tipo precario, sinonimo di instabilità ed insicurezza economica-sociale, priva di una concreta prospettiva di indipendenza, tale da consentire un reddito corrispondente alla professionalità e un’appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle attitudini
ed aspirazioni del lavoratore (Cass. n. 4765/2002; n. 21773/2008; n. 14123/2011; n. 1773/2012), legittimando il figlio maggiorenne a conservare il diritto al mantenimento.
Circostanze che sicuramente non riguardano il caso di specie, rispetto al quale la Suprema Corte di Cassazione, confermando quanto deciso dalla Corte d’Appello di Bari, sciogliendo ogni dubbio giurisprudenziale in materia, con ordinanza n. 19182 dell’11 settembre 2014, rigettava la richiesta di un padre che chiedeva la revoca dell’assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne, confermandone il sostentamento.
Decisione che trovava fondamento nell’encomiabile scelta del giovane a cercare di rendersi autosufficiente alla sola età di 23 anni, subendo, dopo un breve periodo di lavoro, un incolpevole e non voluto licenziamento, senza alcuna attivazione di ammortizzatori sociali (cassa integrazione, ecc.), la cui assenza induceva Piazza Cavour a considerare tale posizione lavorativa di tipo precario, sinonimo di instabilità ed insicurezza economica-sociale, priva di una concreta prospettiva di indipendenza, tale da consentire un reddito corrispondente alla professionalità e un’appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento, adeguata alle attitudini
ed aspirazioni del lavoratore (Cass. n. 4765/2002; n. 21773/2008; n. 14123/2011; n. 1773/2012), legittimando il figlio maggiorenne a conservare il diritto al mantenimento.
Fonte: http://www.diritto.it/