“La causa principale del divorzio resta il matrimonio.” diceva il noto attore comico statunitense Jerry Lewis. E dobbiamo riconoscere che probabilmente ha colto nel segno visto che non è da tutti riuscire a vivere serenamente insieme a un’altra persona. E quando poi il matrimonio finisce i coniugi spesso mettono in atto tutti quei meccanismi di vendetta covati per anni tirando fuori la parte peggiore di se stessi.
Le liti peggiori riguardano, quasi sempre, l’affidamento dei figli e il riconoscimento dell’
assegno di mantenimento o di quello divorzile.
In merito ai due assegni e’ necessario fare una precisazione.
L’assegno di mantenimento e’ previsto con la separazione che non scioglie il vincolo matrimoniale ma lo sospende; va corrisposto in favore del coniuge a cui non sia addebitabile la separazione e che non disponga di redditi adeguati a un tenore di vita simile a quello che aveva durante il matrimonio.
L’assegno divorzile, invece, viene corrisposto con la rottura definitiva del rapporto coniugale; ha una finalità assistenziale/solidaristica serve cioè a impedire il deterioramento delle condizioni economiche del coniuge economicamente più debole.
Ad esempio, l’assegno divorzile non può essere corrisposto all’ex coniuge che, in sede di separazione, aveva ricevuto beni immobili e una cospicua somma di denaro, dando atto della propria autosufficienza economica.
Anche se l’altro, nel frattempo aveva ulteriormente migliorato le proprie condizioni economiche.
A stabilirlo e’ stata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 26491 del 27 novembre 2013.
Qui in breve la storia giudiziaria oggetto della suddetta sentenza.
Il Tribunale di Ancona, nel giudizio promosso da un marito per ottenere la declaratoria della cessazione degli effetti civili del matrimonio , stabiliva a favore della di lui moglie un assegno mensile di Euro 1.000,00.
Il marito proponeva ricorso in appello sostenendo, così come già fatto in primo grado, che i presupposti per l’attribuzione dell’assegno divorzile erano insussistenti perché in sede di separazione giudiziale alla moglie venivano assegnati beni immobili e la somma di Euro 730.000,00, sulla scorta del fatto che la moglie aveva dichiarato la propria autosufficienza sul piano economico.
L’uomo faceva rilevare che queste circostanze non erano state verificate dal Tribunale a causa dello smarrimento del fascicolo di parte.
La donna si costituiva in appello chiedendo, in via incidentale, che l’ammontare dell’assegno venisse elevato, in considerazione dell’ importante incremento patrimoniale che l’ex marito aveva realizzato nell’ambito della propria attività imprenditoriale.
La Corte di appello di Ancona sosteneva, però ,che gli accordi di natura transattiva intervenuti in occasione della
separazione dei coniugi, erano privi di efficacia vincolante in relazione all’assegno di divorzio perché le precedenti attribuzioni patrimoniali non erano sufficienti a far tenere alla ex moglie un tenore di vita analogo a quello della vita matrimoniale.
Inoltre, la Corte d’Appello riteneva che l’assegno divorzile doveva essere corrisposto tenuto conto “del presumibile e relativo sviluppo” della già ben avviata attività imprenditoriale dell’ex marito”.
Dunque, nei confronti della ex moglie ( che già percepiva una pensione di vecchiaia di modesto importo) veniva riconosciuto un assegno divorzile ridotto ad Euro 280 mensili, rivalutabili annualmente su base ISTAT”.
Avverso questa decisione, l’uomo proponeva ricorso per Cassazione sostenendo che la corte territoriale non aveva tenuto conto del criterio, di natura assistenziale, dell’assegno divorzile . La ex moglie resisteva con controricorso sostenendo illegittima la riduzione ad Euro 280,00 dell’assegno divorzile.
Gli Ermellini, chiamati a pronunciarsi sul caso di specie, ribadivano che l’assegno divorzile ha natura esclusivamente assistenziale, di conseguenza, trova fondamento nella mancanza di mezzi adeguati da parte del coniuge debole tali da far mantenere un tenore di vita analogo a quello matrimoniale. Per “mezzi adeguati” devono intendersi redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre.
In buona sostanza, secondo gli Ermellini la Corte d’ Appello aveva sbagliato nel riconoscere l’assegno divorzile alla donna perché aveva confuso il criterio di attribuzione con quello di quantificazione.
La Corte territoriale, dunque, prima di riconoscere l’assegno divorzile doveva aver verificato la sussistenza o meno del diritto all’assegno, procedendo con una valutazione ponderata e bilaterale dei criteri quali :condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare, durata del matrimonio ecc.
In conclusione, i giudici di Piazza Cavour accoglievano sia il ricorso principale che quello incidentale; cassavano la sentenza impugnata e rinviavano , anche per le spese, alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione.
Fonte: Niente assegno divorzile se l’ex coniuge, in sede di separazione, da atto della propria autosufficienza economica
(www.StudioCataldi.it)