Cassazione N.32124/19 – Cassazione, nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario
Civile Sent. Sez. 3 Num. 32124 Anno 2019, Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO, Relatore: SCARANO LUIGI ALESSANDRO
Il consenso informato attiene al diritto fondamentale della persona all’espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico ( cfr. Corte Cost., 23/12/2008, n. 438 ), e quindi alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente (v. Cass., 6/6/2014, n. 12830), atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge ( anche quest’ultima non potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana: art. 32, 2 °co., Cost. ).
Il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute ( art. 32, co., Cost. ) ( v. Cass., 6/6/2014, n. 12830 ).
Trattasi di obbligo che attiene all’informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto, al fine di porlo in condizione di consapevolmente consentirvi.
A tale stregua, l’informazione deve in particolare attenere al possibile verificarsi, in conseguenza dell’esecuzione del trattamento stesso (cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 30/7/2004, n. 14638), dei rischi di un esito negativo dell’intervento ( v. Cass., 12/7/1999, n. 7345 ) e di un aggravamento delle condizioni di salute del paziente ( v. Cass., 14/3/2006, n. 5444 ), ma anche di un possibile esito di mera “inalterazione” delle medesime ( e cioè del mancato miglioramento costituente oggetto della prestazione cui il medico-specialista è tenuto, e che il paziente può legittimamente attendersi quale normale esito della diligente esecuzione della convenuta prestazione professionale ), e pertanto della relativa sostanziale inutilità, con tutte le conseguenze di carattere fisico e psicologico ( spese, sofferenze patite, conseguenze psicologiche dovute alla persistenza della patologia e alla prospettiva di subire una nuova operazione, ecc. ) che ne derivano per il paziente ( cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826 ).
La struttura e il medico hanno dunque il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, a suoi rischi, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili nonché delle implicazioni verificabili, esprimendosi in termini adatti al livello culturale del paziente interlocutore, adottando un linguaggio a lui comprensibile, secondo il relativo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (v. Cass., 19/0/2019, n. 23328; Cass., 4/2/2016, n. 2177; Cass., 13/2/2015, n. 2854).
Al riguardo questa Corte ha avuto modo di precisare che il consenso informato va acquisito anche qualora la probabilità di verificazione dell’evento sia così scarsa da essere prossima al fortuito o, al contrario, sia così alta da renderne certo il suo accadimento, poiché la valutazione dei rischi appartiene al solo titolare del diritto esposto e il professionista o la struttura sanitaria non possono omettere di fornirgli tutte le dovute informazioni ( v. Cass., 19/9/2014, n. 19731 ).
Ai sensi dell’art. 32, 2 °co., Cost. ( in base al quale nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge ), dell’art. 13 Cost. ( che garantisce l’inviolabilità della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia della propria salute e della propria integrità fisica ) e dell’art. 33 L. n. 833 del 1978 ( che esclude la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p. ), tale obbligo è a carico della struttura e del sanitario ( da ultimo v. Cass., 23/10/2018, n.
26728 ), il quale, una volta richiesto dal paziente dell’esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso.
Il consenso libero e informato, che è volto a garantire la libertà di autodeterminazione terapeutica dell’individuo ( v. Corte Cost., 23/12/2008, n. 438, e, da ultimo, Cass., Sez. un., 11/11/2019, n., 28985, ove si pone in rilievo che l’obbligo informativo è ora legislativamente previsto agli artt. 1, commi 3-6, 3, commi 1-5, e 5 L. n. 219 del 2019, recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento” ), e costituisce un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi consentendogli di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico (cfr., da ultimo, Cass., 19/7/2018, n. 19199; Cass., 28/06/2018, n. 17022) o anche di rifiutare ( in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale ) la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla ( v. Cass., 16/10/2007, n. 21748 ), salvo che ricorra uno stato di necessità, non può mai essere presunto o tacito ma deve essere sempre espressamente fornito, dopo avere ricevuto un’adeguata informazione, anch’essa esplicita, laddove presuntiva può essere invece la prova che un consenso informato sia stato dato effettivamente ed in modo esplicito, ed il relativo onere ricade sulla struttura e sul medico ( v. Cass., 27/11/2012, n. 20984; Cass., 11/12/2013, n. 27751, e, da ultimo, Cass., Sez. un., 11/11/2019, n., 28985 ).
A tale stregua, a fronte dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente è onere della struttura e del medico provare l’adempimento dell’obbligazione di fornirgli un’informazione completa ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze (v. Cass., 9/2/2010, n. 2847), senza che sia dato presumere il rilascio del consenso informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo esse incidere unicamente sulle modalità dell’informazione, la quale deve -va ribadito- sostanziarsi in
spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del paziente, con
l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare stato
soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone ( v. Cass.,
20/8/2013, n. 19920).
Deve al riguardo ulteriormente porsi in rilievo come la struttura e il medico vengano in effetti meno all’obbligo di fornire un valido ed esaustivo consenso informato al paziente non solo quando omettono del tutto di riferirgli della natura della cura prospettata, dei relativi rischi e delle possibilità di successo, ma anche quando acquisiscano con modalità improprie il consenso dal paziente ( v. Cass., 21/4/2016, n. 8035 ).
Si è da questa Corte ritenuto ad esempio inidoneo un consenso ottenuto mediante la sottoposizione alla sottoscrizione del paziente di un modulo del tutto generico ( v., da ultimo, Cass., 19/9/2019, n. 23328; Cass., 4/2/2016, n. 2177 ), non essendo a tale stregua possibile desumere con certezza che il medesimo abbia ricevuto le informazioni del caso in modo esaustivo ( v. Cass., 8/10/2008, n. 24791 ) ovvero oralmente ( v. Cass., 29/9/2015, n. 19212, ove si è negato che -in relazione ad un intervento chirurgico effettuato sulla gamba destra di un paziente, privo di conoscenza della lingua italiana e sotto narcosi- potesse considerarsi valida modalità di acquisizione del consenso informato all’esecuzione di un intervento anche sulla gamba sinistra, l’assenso prestato dall’interessato verbalmente nel corso del trattamento ).
Con riferimento al consenso prestato anche solo oralmente questa Corte ha peraltro avuto più volte modo di precisare che la relativa idoneità non è in termini assoluti esclusa, dovendo invero valutarsi le modalità
concrete del caso.
In presenza di riscontrata (sulla base di documentazione, testimonianze, circostanze di fatto) prassi consistita in (plurimi) precedenti incontri tra medico e paziente con (ripetuti) colloqui in ordine alla patologia, all’intervento da effettuarsi e alle possibili complicazioni si è invero ritenuto idoneamente assolto dal medico e/o dalla struttura l’obbligo di informazione e dal paziente corrispondentemente prestato un pieno e valido consenso informato al riguardo, pur se solo oralmente formulato ( cfr. Cass.,
31/3/2015, n. 6439. Cfr. altresì Cass., 30/4/2018, n. 10325 ).
Fonte: Psicologia giuridica