P.A.S. , questa sconosciuta
Riconosciuta in una recente sentenza del tribunale di Cosenza (leggi “Alienazione parentale: riconosciuta dal tribunale di Cosenza”) che qui, brevemente, commenteremo e riporteremo in formato integrale (v. box “La sentenza”).
ALIENAZIONE PARENTALE: COS’É
Gardner, nel 1985, fu il primo a dare una definizione dell’alienazione parentale:
“Si tratta di un disturbo dell’infanzia che si sviluppa quasi esclusivamente nel contesto delle dispute sulla custodia dei figli. La sua manifestazione primaria è una campagna ingiustificata di denigrazione del bambino nei confronti di un genitore e risulta dalla combinazione di indottrinamenti (lavaggio del cervello) da parte di un genitore e di contributi propri del bambino.
La denominazione stessa del disturbo permette di comprendere i meccanismi sottostanti la combinazione di questi due fattori contribuenti”.
A questa prima classificazione, Gardner aggiunge in seguito altri elementi, individuando 8 sintomi specifici che coincidono, in linea generale, con le analisi effettuate successivamente da altri autori:
– campagna denigratoria verso uno dei genitori;
– razionalizzazioni deboli, superficiali e assurde per giustificare il biasimo;
– mancanza di ambivalenza;
– fenomeno del pensatore indipendente;
– appoggio automatico al genitore alienante nel conflitto genitoriale;
– assenza di senso di colpa per la crudeltà e l’insensibilità verso il genitore
alienato;
– utilizzo di scenari presi a prestito;
– estensione dell’ostilità alla famiglia allargata e agli amici del genitore alienato.
Dal punto di vista esterno, si assiste a un repentino modificarsi del sentimento
del figlio nei confronti del genitore, di solito il padre, dal quale il genitore
affidatario si è separato, di solito la madre.
L’insorgere improvviso del cambiamento nel figlio impone una riflessione: in
assenza di fatti esterni nuovi e di modificazione del comportamento affettivo del
genitore alienato nei confronti del figlio, il compito della psicologia dovrebbe
essere quello di ricercare i motivi del cambiamento interno.
Ma il diritto conosce una sola soluzione: la revoca dell’affidamento
condiviso che viene, quindi, sostituito – con un ricorso al giudice –
dall’affidamento esclusivo in favore del coniuge per così dire “vittima” del
comportamento patologico dell’ex.
Ed è proprio quello che è successo davanti al Tribunale di Cosenza, nel
decreto in commento
Inequivocabile la condotta della donna, che, dotata di personalità
manipolativa, ha, lentamente e inesorabilmente, allontanato fisicamente e
psicologicamente i figli dal padre, suo ex compagno di vita. Di fronte a questo
stato di cose, si può parlare legittimamente di alienazione parentale. Inevitabili
le ripercussioni negative per la donna, considerata dai giudici non adeguata
come genitore.
La vicenda
Una donna aveva falsamente denunciato l’ex marito di violenze sessuali nei
confronti dei figli. Il giudice richiede così una perizia psicologica sui minori – i
cui racconti sugli abusi sono parsi forzati… – e sui loro genitori.
E proprio il confronto con i bambini ha permesso di evidenziare una “situazione
di inidoneità genitoriale della donna, che risulta avere manipolato i due figli,
allontanandoli fisicamente e psicologicamente dal padre, verso cui entrambi
ostentano plateali manifestazioni di rifiuto e di negazione” In sostanza, è emerso
un “condizionamento programmato”, da parte della madre, “nei confronti dei
figli» e finalizzato a “logorare la figura paterna” con una “campagna di
denigrazione del minore contro il padre”.
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La sentenza
Tribunale di Cosenza, sez. II Civile, decreto 23-29 luglio 2015, n. 778
Il Tribunale,
riunito in Camera di Consiglio,
letto il ricorso presentato da K ai sensi degli artt. 377 bis ss. c.c. per la regolamentazione
dell’esercizio della responsabilità genitoriale sui figli minori X e Y (nati rispettivamente il …
e il …) a seguito della cessazione della convivenza more uxorio intrattenuta dal 2004 al
2014 con W;
dato che la ricorrente ha chiesto l’affido condiviso dei due minori con collocazione
prevalente presso di sé, assegnazione della casa familiare di W e l’imposizione in capo al
genitore non collocatario dell’obbligo di contribuire al mantenimento dei due figli con il
versamento della somma mensile di euro 250 per ciascuno, oltre al 50 per cento delle
spese straordinarie, con regolamentazione dell’esercizio del relativo diritto di visita del
padre ai due figli;
rilevato che il convenuto si è costituito in giudizio formulando richiesta di affido esclusivo
dei due minori, ovvero, in subordine, collocazione prevalente degli stessi presso di sé, con
regolamentazione dell’esercizio del diritto di visita della madre non collocataria, nonché
imposizione a carico della K di un contributo per il mantenimento dei figli minori;
dato atto che all’udienza del 25.06.2014, essendo i minori in vacanza a … con la madre, le
parti hanno chiesto un rinvio della causa, dichiarando di avere raggiunto un accordo sulle
modalità di visita del padre durante il periodo estivo (la K si era in particolare impegnata, a
verbale, di far partecipare i minori al matrimonio dello zio paterno … in data …,
acconsentendo, inoltre, a che i due figli trascorressero con il convenuto tutto il mese di
luglio 2014);
rilevato che, a seguito di istanza presentata da W, che denunciava l’inottemperanza della
ricorrente all’accordo così raggiunto, il Tribunale ha disposto l’acquisizione di informazioni
urgenti sul nucleo familiare e sui minori dal Servizio Sociale di … territorialmente
competente in relazione alla residenza dei minori, provvedendo a regolamentare in via
provvisoria l’esercizio del diritto di visita ai figli del W;
dato atto che alla fissata udienza del 22.10.2014 W faceva presente che non aveva potuto
in alcun modo incontrare i figli, essendo stato, peraltro, nelle more indagato in
procedimento penale per presunte molestie sessuali ai danni dei figli (archiviato con
ordinanza del G.I.P. di Cosenza del 27.08.2014) e formulava richiesta di decadenza dalla
responsabilità genitoriale nei confronti della K;
rilevato che il Collegio, esaminati tutti gli atti del procedimento, disponeva consulenza
psicologica sui minori e sui genitori stessi, che veniva integrata a seguito delle
osservazioni del C.T.P. di parte attrice;
dato atto, infine, che all’udienza del 15.07.2015 il procuratore di … depositava richiesta di
‘nulla osta’ al trasferimento presso scuola di … formulata unilateralmente dalla K al
presidente della scuola elementare frequentata da X e Y, insistendo nella declaratoria di
decadenza della ricorrente dalla responsabilità genitoriale.
Deve essere disposto l’affido esclusivo dei minori a W.
Se è vero, infatti, che a norma dell’art. 337 ter c.c. il legislatore privilegia, in caso di crisi e
separazione della coppia genitoriale, il regime dell’affido condiviso dei figli minori per
garantire loro il “diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno
dei genitori”, è altrettanto vero che al fine di tutelare il preminente interesse dei minori ad
una crescita serena ed equilibrata, “il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno
solo dei genitori, qualora ritenga, con provvedimento motivato, che l’affidamento all’altro
sia contrario all’interesse del minore” (art. 337 quater, comma 1 c.c.).
Ebbene, nel caso di specie, l’istruttoria ha consentito di appurare l’esistenza di una
situazione di inidoneità genitoriale della K che risulta avere manipolato i due minori,
allontanandoli fisicamente e psicologicamente dal padre, verso cui ostentano entrambi
plateali manifestazioni di rifiuto e negazione.
W ha chiesto l’affido esclusivo e, in corso di causa, la declaratoria di decadenza della
responsabilità genitoriale per la K, descrivendola come una madre per lunghi periodi
assente dalla vita dei figli, impegnata nella sua attività di rappresentante di commercio
nella vendita di batterie di pentole, anche per periodi di due o tre giorni consecutivi,
lasciando i figli a casa con lui ed a lui delegando ogni incombenza che li riguardava.
L’assunto è rimasto privo di riscontro probatorio perché la causa ha assunto un’altra piega.
A seguito del mancato rispetto, da parte della ricorrente, dell’accordo concluso con il
convenuto all’udienza del 25.06.2015 (quando la K si era impegnata, a verbale, di portare i
bambini al matrimonio dello zio paterno ed a far trascorrere loro col padre tutto il mese di
luglio 2014), il Collegio ha, infatti, interessato della vicenda i Servizi Sociali di …, così
apprendendo che gli stessi erano stati già contattati, appena qualche giorno prima, dal
legale della K, la quale, per il tramite del proprio avvocato, aveva segnalato agli assistenti
sociali una situazione di disagio dei figli che si rifiutavano, in particolare, di incontrare il
padre.
Il 15.07.2014 gli assistenti sociali hanno, quindi, incontrato X, Y e la madre.
Nella relazione da loro stesa, in pari data, essi riferiscono di avere sentito i due minori e
che essi, durante il loro colloquio, hanno accusato il padre di diversi episodi di
maltrattamenti (X sarebbe stato colpito da W in più occasioni con un bastone; i due
sarebbero stati lasciati soli dal padre, in piena notte, su una panchina e poi nelle vicinanze
di un’azienda agricola) e di molestie sessuali.
I bambini hanno, in particolare, raccontato agli assistenti sociali che il padre più volte “nel
salone di casa si era spogliato” davanti a loro “mostrando i genitali e costringendoli a
toccarli” con la minaccia che, se avessero raccontato il fatto, egli avrebbe fatto del male a
loro ed alla mamma.
Alla luce del contenuto di tali dichiarazioni, gli assistenti sociali provvedevano ad informare
i Carabinieri della Stazione di …, dove la K si era poi recata a sporgere denuncia contro il
suo ex convivente.
In data 22.07.2014 i minori e la madre erano stati, quindi, inseriti in una struttura protetta
per donne in difficoltà e minori di …, dalla quale erano tuttavia usciti volontariamente, per
iniziativa della ricorrente, il successivo 27.07.2007 (v. attestazione della società
cooperativa … e comunicazione della K in data 27.07.2014, in atti).
A seguito del provvedimento del Collegio, gli assistenti sociali hanno proceduto, quindi, ad
effettuare un nuovo incontro con X, Y ed i loro genitori.
Nella relazione del 29.07.2014 danno, infatti, conto di avere effettuato il secondo incontro il
giorno 25.07.2014 (quando i minori e la madre si trovavano ancora presso la comunità di
accoglienza anzidetta), trovandosi di fronte a “due bambini molto spaventati e abbracciati
in modo morboso dalla mamma”.
Evidenziavano, gli assistenti sociali, che i minori si rifiutavano di parlare con il padre.
Tuttavia, rimasti soli con il genitore, dopo un primo momento di tensione durante il quale X
“rimprovera(va) il padre di litigare sempre con la madre, che non gli faceva fare le vacanze
in santa pace” senza fare alcun riferimento agli episodi raccontati nel precedente incontro
(maltrattamenti, abbandono in luoghi pubblici, molestie sessuali), scrivono ancora i Servizi
sociali che il piccolo Y, tranquillizzato dal papà, abbraccia(va) infine il genitore
“manifestando la volontà di voler andare con lui”.
Evidenziano gli assistenti sociali che “in questo secondo colloquio la dichiarazione dei
bambini appare un po’ confusa, facendo insorgere il dubbio che i bambini (stessi) possano
essere stati influenzati da soggetti adulti”.
Concludevano, pertanto, la relazione sollecitando il Tribunale ad un approfondimento
specialistico, da affidare ad un neuropsichiatra infantile.
Nelle more dell’udienza del 22.10.2014 – fissata dal Tribunale, dopo l’accordo raggiunto
tra le parti all’udienza del 25.06.2014, per il prosieguo del procedimento – la Procura di
Cosenza, espletate le indagini in ordine ai reati denunciati dalla K a carico del suo ex
convivente, chiedeva – e successivamente otteneva – l’archiviazione del procedimento (v.
decreto archiviazione G.I.P. Cosenza in data 21.05.2015, in atti).
Dalle indagini espletate – ivi compresa l’acquisizione di referto medico relativo a visita
ginecologica sulla piccola X portata in Pronto Soccorso dalla madre, ed indagine
specialistica delegata alla dottoressa … (medico chirurgo specializzato in neuropsichiatria
infantile, nominata dalla Procura quale ausiliario di p.g.) – era infatti emerso che i minori
avevano esposto fatti non veritieri, fornendo un racconto “ritualizzato, pieno di fantasie” e
per quanto riguarda Y del tutto “omogeneo a quello della sorella” maggiore rispetto alla
quale manifesta una forte dipendenza emotiva (v. elaborato di consulenza dottoressa …,
depositata in procura il 12.02.2015, in atti).
A seguito dei colloqui e dei test somministrati ai minori, il consulente del P.M. evidenziava,
inoltre, che “per la struttura e le modalità del racconto, molti fatti sembrerebbero
inverosimili anche perché raccontati in maniera stereotipata e senza risonanza emotiva. I
racconti non sono coerenti rispetto alla collocazione spazio-temporale, sono strutturati in
maniera eccessiva. Non sono presenti contesti particolareggiati, interazioni, complicanze
inaspettate durante l’evento”.
La K proponeva opposizione alla richiesta di archiviazione, che veniva tuttavia non accolta
dal G.I.P.
Sempre nelle more dell’udienza del 22.10.2014, non riuscendo ancora ad incontrare i figli
nonostante il provvedimento del Collegio del 23.07.2014, W notificava alla K relativo atto
di precetto rimasto inottemperato.
Adiva inoltre il Giudice tutelare ex art. 337 c.c.
Nel corso della fissata udienza, su sollecitazione del magistrato procedente, le parti si
accordavano per effettuare gli incontri tra il padre ed i minori con l’intervento e l’assistenza
degli assistenti sociali e W, accogliendo il suggerimento del Giudice tutelare, rifasciava il
‘nulla osta’ richiesto dalla K per l’iscrizione dei due figli alla scuola elementare di …,
Comune nel quale la ricorrente si era nelle more trasferita con la prole (v. verbale udienza
camerale del 12.09.2014).
Anche tale accordo rimaneva lettera morta.
Mentre W rilasciava il ‘nulla osta’ all’iscrizione dei figli presso l’istituto scolastico di …, la K
manteneva un contegno inerte e non collaborativo che non consentiva a X e Y di
avvicinarsi in alcun modo al padre.
All’udienza del 22.10.2014 il Collegio, ritenutane la necessità, disponeva consulenza
psicologica sui minori e sui genitori al fine di accertare “quale (fosse) lo stato psicologico e
la personalità delle parti e dei minori, con particolare riferimento ai rapporti di questi con
entrambi i genitori e con i relativi ambienti familiari”, nonché “quale (fosse) la causa del
“loro rifiuto di incontrare il padre e verificare se essi subiscano – o abbiano subito –
influenze esterne provenienti da adulti tali da condizionarne i comportamenti e gli
atteggiamenti odierni”.
La consulenza – affidata al dottor …, psicologo e psicoterapeuta – trasfusa in un elaborato
dettagliato e preciso, accompagnato dai file degli incontri videoregistrati con tutti i soggetti
coinvolti nella vicenda odierna, è stata successivamente integrata con l’osservazione degli
incontri madre-figli e l’ascolto dei minori da parte del Giudice delegato all’uopo dal
Collegio.
La visione dei file contenenti le videoriprese dei colloqui del CTU con genitori e minori e
l’ascolto diretto di X e Y da parte del Giudice delegato hanno consentito al Collegio di
verificare direttamente le conclusioni del perito nominato.
Il CTU, dopo avere incontrato i minori ed i due genitori sia singolarmente che
congiuntamente ed avere ad essi somministrato i test di rito, ha infatti concluso per un
“condizionamento programmato” della madre nei confronti dei figli teso a “logorare” la
figura paterna, compresi anche i familiari del W ed il posto in cui egli vive.
Nell’atteggiamento dei due minori il perito ed il Tribunale mediante l’ascolto diretto di X e Y
hanno potuto constatare la sussistenza di un vero e proprio disturbo relazionale, avente le
caratteristiche dell’alienazione parentale così come descritta, da ultimo, nel DSM – 5
pubblicato nel maggio 2013.
Si è, in particolare, potuto constatare la sussistenza di una situazione di “ingiustificata
campagna di denigrazione del minore contra il padre”.
Sia X che Y rifiutano la figura paterna, in modo plateale ed innaturale, adducendo
motivazioni del tutto inconsistenti ed inverosimili.
L’accusa di molestie sessuali non ha superato la fase delle indagini preliminari, essendo
stati ii racconti dei due fratelli ritenuti, dal neuropsichiatra infantile ausiliario di p.g. e dalla
Procura stessa all’esito delle indagini, del tutto inverosimili, fantasiosi, sganciati dalla
realtà e completamente privi di qualsivoglia riscontro oggettivo.
Sia il CTU che il Giudice delegato hanno, inoltre, verificato de visu l’inconsistenza di detti
racconti.
AI Giudice delegato poi X e Y hanno descritto l’evento in maniera completamente diversa.
Entrambi hanno dichiarato che W (non intendono chiamare il padre “papà”) ha fatto
toccare loro il “pisellone” ma mentre X ha riferito che si trovavano in salone e che avevano
entrambi toccato il “pisellone” del padre con una mano ciascuno premendolo due volte,
così facendo fuoriuscire un liquido appiccicoso che loro stessi avevano dovuto pulire con
un tovagliolo, Y ha detto che era da solo in camera sua quando W gli aveva mostrato il
“pisellone”, specificando, su domanda del Giudice delegato, che X non era con lui e di non
avere mai visto la sorella toccare il pene del genitore.
Mentre X non ha fatto cenno ad altri episodi di maltrattamenti, Y all’inizio della sua
audizione col G.I. ne ha meccanicamente sciorinato l’elenco dettagliato dicendo: “Mi ha
fatto toccare il pisellone, mi ha picchiato col palo della scopa, mi ha lasciato nel bosco, mi
ha lasciato su una panchina di … con mia sorella”, senza tuttavia riuscire poi a riempire i
singoli episodi enunciati di contenuti verosimili. A proposito del bosco, il bambino ha infatti
detto che quando il padre, per “sfogarsi”, li aveva fasciati là, era buio, che c’era un cervo
ma non c’erano luci e che lui e la sorella erano tornati a casa da soli.
Insomma, nessuna delle motivazioni poste dai minori alla base del loro rifiuto del padre è
motivata e fondata su fatti seri, concreti ed obiettivi, effettivamente vissuti e patiti dai due
bambini, che appaiono istruiti ad arte nella recita di un copione.
Durante i colloqui con il CTU ed il Giudice delegato, i due minori continuavano –
soprattutto X – a ripetere che W non è loro padre ed è “cattivo”, quasi roboticamente e
ritualmente.
Y, poi, senza alcun coinvolgimento o convinzione.
L’aprioristica e programmata denigrazione del genitore non più riconosciuto come tale è
del tutto evidente nell’incipit dei colloqui con il perito d’ufficio.
Appena arrivata di fronte alla telecamera, X si profonde in una serie di insulti contro il
padre, chiede di parlare con “il giudice dei grandi” per l’“interrogazione di quinto grado”;
Giudice a cui direttamente spesso si rivolge attraverso la telecamera chiedendo che metta
W in carcere per le “cose brutte” che ha fatto.
Notando l’uso di tali espressioni e riferimenti di X alla circostanza che ella non conosce le
tabelline, il perito scopre inoltre che i due minori sono stati preparati ai colloqui con lui
attraverso la visione di un video dal titolo “Marina era nei guai” fornito alla K dalla CTP di
parte, dottoressa …, al dichiarato fine di tranquillizzarli in vista degli incontri col CTU (v.
relazione peritale, pag. 9).
Dalla trascrizione della traccia audio, che di detto video fa nella sua relazione il perito,
emerge che X ripete le stesse frasi della “Marina” del video: evidente il condizionamento
psicologico così ulteriormente operato sulla minore.
È stato inoltre riscontrato nel corso dell’istruttoria anche un ulteriore comportamento
sintomatico dell’alienazione parentale, vale a dire la mancanza di ambivalenza nei
confronti di uno stesso genitore, avendo il CTU ed il Collegio direttamente constatato che i
due bambini nutrono per il padre (genitore alienato) solo sentimenti negativi e per la madre
(genitore alienante) solo sentimenti positivi.
Persino quando, nel corso della conversazione con giudice delegato e CTU, riferiscono
qualcosa di positivo sul padre, subito correggono il tiro, aggiungendo un particolare
denigratorio.
Quando, ad esempio, il giudice delegato chiede ad X se ricorda qualcosa di buono che ha
fatto per lei il padre (che dice di non voler vedere “nemmeno quando sarò defunta!”)
dapprima nega recisamente e poi dice che “una cosa buona che ha fatto” è stata quella di
averla portata ad una fiera “e c’erano le giostre”. Arriva subito la denigrazione: “erano rotte
ma almeno mi sono divertita”.
Poi aggiunge: “un’altra cosa buona è che mi ha regalato una cucina”; ma subito corregge:
“ma è piccola, però”.
“Un’altra cosa buona era che comprava” a lei e Y i palloncini ma aggiunge, in chiave
denigratoria: “lui non li gonfiava, però. Non gonfia niente: manco il cervello”.
E la stessa cosa accade relativamente ai membri della famiglia paterna.
Altro indice dell’alienazione parentale è invero costituito dalla circostanza che il bambino
tende ad estendere l’ostilità anche ai familiari e agli amici del genitore alienato.
Quando il giudice delegato chiede ad X della nonna paterna, dapprima dice che non ci
andava spesso, solo a pranzo la domenica; ma subito si corregge: “no, venerdì! Ho detto
domenica perché mi sono sbagliato. Domenica stavamo da soli e mamma faceva il
pagliaccetto per farci ridere”.
Poi aggiunge che il nonno paterno gli faceva i regali solo perche lo “obbligava la mamma”
ed anche gli spaghetti al sugo la domenica (che ammette le piacevano) glieli cucinava
perche obbligato dalla madre.
Più spontaneo e sincero, sotto questo aspetto, si è invece rivelato Y, più piccolo di X e
dunque meno dotato di sovrastrutture condizionabili.
Dopo avere meccanicamente ripetuto di non voler vedere il padre, rispondendo al Giudice
ha ammesso che “un pochino pochino pochino” gli manca; che se lo incontrasse gli
direbbe “ciao” (dicendo ciò si scherniva, ed abbassava lo sguardo, abbozzando un
sorriso).
Ha inoltre detto, dopo averlo inizialmente negato, di volere bene “pochino pochino” al
papà, agli zii e nonno paterni, tradendo un vero e proprio sentimento di affetto nei confronti
del genitore alienato e della di lui famiglia di origine.
Assai significativa si è infine rivelata l’osservazione, da parte del CTU, dei minori con la
madre.
I due bambini appaiono del tutto dipendenti dalla figura materna con cui condividono una
forte complicità e di cui cercano, anche con lo sguardo, la continua approvazione.
L’alienazione del genitore appare in tutta la sua evidenza laddove i bambini arrivano
oramai a confondere la figura paterna, individuandola in quella del nuovo compagno della
madre (tale H) di cui tessono le lodi e che risulta sempre vincente nel paragone, che essi
stessi introducono, con il genitore naturale.
Anche al giudice delegato X ha parlato di H.
La bambina ha in particolare negato che H sia il compagno della madre (“Mamma non ha
nessun fidanzato. È indecisa. Ha paura di sbagliare; di fare lo stesso errore che ha fatto
con W”. Rispondendo al giudice delegato che le chiedeva se queste cose gliele avesse
dette la madre, ha dichiarato: “Non me lo ha detto; lo capisco dal suo sguardo”),
aggiungendo tuttavia: “Io vorrei tanto H come nuovo papa!” (v. verbale ascolto X, ud.
13.07.2015, in atti).
Tessendo le lodi di H, Y ha dichiarato che lui “aiuta la mamma al negozio” (di fiori), “porta
Ia legna, ci dipinge la casa. Lui è bravo a fare tutto. Sa pure cucinare!”.
Insomma, è in atto un vero e proprio processo di progressiva “sostituzione” della figura
paterna con il compagno della K, evidente anche nel piccolo Y che al giudice delegato,
dopo avere detto che “W” gli aveva insegnato ad andare in bicicletta, subito si corregge:
“però a volte cadevo”; ed aggiunge spontaneamente: “H ci ha insegnato meglio” (v.
verbale audizione Y, 13.07.2015, in atti).
Tale conclusione è confermata dalle dichiarazioni che X fa al perito durante gli incontri
seguiti alla richiesta di integrazione peritale.
Ella dice al CTU che W non è più suo padre.
È un “ex papa”, spiegando al CTU, che le chiedeva maggiori delucidazioni, che è come
quando due si fidanzano e poi si lasciano: si è “ex, ex fidanzati”.
E così e stato pure con Y.
II processo di alienazione della figura paterna con contemporanea sostituzione di W e la
confusione ingenerata nei due bambini si rivela in modo palese nell’incontro congiunto
madre-figli espletato dal CTU.
II perito fa disegnare a ciascuno di loro la loro famiglia.
I due bambini disegnano solo loro due e la madre, scrivendo accanto a ciascuna figura i
rispettivi nomi (mamma, X, Y).
Quando la madre disegna anche una figura maschile scrivendoci accanto “papà”, entrambi
la guardano con estremo stupore e rivolgendosi alla madre chiedono chi fosse, “W?”.
La madre risponde: “un papà”.
X chiede di precisare, di non scrivere solo “papà” ma un “nome proprio” come hanno fatto
loro due bambini; e lei le risponde: “Io non scrivo nomi propri”.
Come fa notare il CTU, “tale episodio appare molto significativo poiché lascia intravedere il
reale rapporto tra madre e figli. Ad un compito specifico (disegnare la vostra famiglia)
affidato a tutti e tre, disegnano solo i due bambini mentre la madre rimane ad osservare
(rectius a “controllare”) ciò che disegnano i bambini (non disegnano alcuna figura paterna).
Al termine, ecco l’elemento a sorpresa della madre – la figura paterna – che piazza i
bambini. In realtà è come se ella avesse “tradito” il loro patto, la loro fiducia; tanto da
scatenare la loro reazione di incredulità e sorpresa” (v. integrazione peritale, pag. 12).
Significativo dell’ingerenza della K nell’impedire “l’accesso psichico” dei figli all’altro
genitorie è infine un ultimo episodio annotato dal perito e registrato dalle videoriprese.
Dalla videocamera posta nella stanza dei CCTTPP si può infatti osservare chiaramente
che W subito dopo la fine del colloquio dei figli con il CTU e la madre, ad un certo punto,
vedendo nel corridoio X, si alza dalla sedia per cercare un contatto con i bambini che
uscivano dalla stanza del colloquio col perito.
Si vede ancora la K che li raggiunge ed intima ai figli di non uscire dalla stanza, chiudendo
la porta della stanza dei colloqui col perito e rimanendo “a guardia”, appoggiata alla porta,
per evitare qualsiasi contatto dei bambini col padre.
Ebbene, ritiene il Collegio che tutti gli elementi come sinora descritti e per tutte le
considerazioni fatte dal perito nei suoi elaborati a cui integralmente in questa sede si
rimanda e che devono intendersi qui richiamati e trascritti, conducono inevitabilmente alla
conclusione della inidoneità della K ad essere genitore affidatario dei bambini.
Non solo con il suo comportamento ella – dotata di personalità manipolativa (v. relazione
di CTU, pp. 138, 139) – ha allontanato i figli dal padre, ma, alla prova dei fatti, ha
reiteratamente dimostrato a questo Collegio di essere inaffidabile, assolutamente non
incline al rispetto del prossimo e dei provvedimenti, assunti dal Tribunale anche sulla base
della sua documentata adesione.
All’udienza del 25.06.2014 si è assunta l’impegno a far partecipare i figli al matrimonio
dello zio paterno e a far trascorrere loro con il padre tutto il mese di luglio.
Non lo ha fatto.
Davanti al Giudice Tutelare, all’udienza del 12.09.2014, si è assunta l’impegno a far
incontrare i figli a W mediante l’ausilio e l’intermediazione dei Servizi Sociali; per contro, W
si è impegnato a rilasciare il ‘nulla osta’ scolastico per il trasferimento dei bambini dalla
scuola di … da loro frequentata a quella di … .
Non lo ha fatto.
Dopo l’audizione da parte del giudice delegato dei due minori, non solo non è comparsa
per l’udienza di discussione della causa, a differenza delle altre volte, ma ha provveduto –
ancora una volta del tutto unilateralmente e senza preavvertire il suo ex compagno e
padre dei suoi figli – ad inoltrare al preside della scuola elementare di …, in data
09.07.2015, richiesta di ‘nulla osta’ al trasferimento dei figli presso altra scuola, sita in altra
regione (…, provincia di …), qualificandosi falsamente come “genitore unico affidatario” in
base ad un citato generico provvedimento del “Giudice Tutelare” della cui esistenza è
legittimo dubitare, trattandosi invero di materia (statuizione sull’affido dei minori) che esula
dalla competenza dell’ufficio tutelare (v. copia delle due richieste di ‘nulla osta’ datate
09.07.2015 nonché comunicazione del preside ad …, allegati al fascicolo di parte
convenuta, in atti); tutto ciò in pieno procedimento e dimostrando, ancora una volta,
assoluta noncuranza per le autorità che hanno preso in carico la sua situazione familiare.
Si tratta di condotte che, complessivamente valutate, convincono il Collegio della assoluta
inidoneità della K ad occuparsi dei figli minori che gestisce ed utilizza in base alle sue
esigenze ed alle proprie convinzioni, senza mostrare alcun rispetto per il loro diritto a
coltivare il rapporto anche con l’altro genitore, da cui invece tenta di allontanarli, anche
fisicamente – come dimostra la richiesta di trasferimento dei figli in una scuola del …, che
renderebbe, se attuato, oltremodo difficile la frequentazione con W, che vive e lavora
stabilmente in … .
Il CTU, che ha sottoposto a consulenza sulla personalità sia la K che W, ha formulato per
la ricorrente una diagnosi di probabile “MBO (Munchausen Syndrome by Proxy) – falsi
abusi sessuali” (DSM – 5, pag. 375) che consiste sommariamente in una “sindrome nella
quale le madri simulano o producono una malattia medica del figlio, che fanno visitare da
medici, pediatri, ospedali, ecc., senza che gli specialisti riescano a trovare alcun riscontro
clinico” (v. integrazione di consulenza, pagg. 10, 119).
Ed è proprio ciò che si è riscontrato nel caso di specie: nonostante la Procura ed il GIP
abbiano escluso abusi sessuali; nonostante il Collegio abbia espletato ogni più scrupoloso
accertamento volto a verificare la veridicità o meno del racconto dei minori che è risultato
palesemente frutto di ideazione (invero etero-indotta) da parte dei figli (ed in particolare di
X), la K si ostina ancora a credere (o a voler far credere di credere…) che i suoi figli siano
stati abusati.
Spiega il perito che l’insistenza della K nel ritenere che i figli siano stati abusati
sessualmente si intreccia con il profilo di personalità della madre della ‘MBP’ che nella
convinzione di operare per il bene dei figli o addirittura spinta da distorsioni cognitive e di
personalità la inducono a nuocere in maniera irreversibile al bambino” (integrazione
peritale, pag. 11).
I minori X e Y devono essere, quindi, affidati in via esclusiva al padre.
W, infatti, a differenza della K, ha dimostrato, durante tutto il corso del presente
procedimento, di voler tutelare in via primaria l’interesse dei figli a vivere e crescere
serenamente, affidandosi ai consigli ed alle soluzioni proposte dagli esperti (assistenti
sociali, perito e Tribunale) anche se queste andavano spesso a suo discapito.
Pur di poter soddisfare l’interesse dei minori e riavvicinarsi ad essi, non ha esitato a
rilasciare il ‘nulla osta’ per il trasferimento degli stessi dalla scuola elementare di … (città
in cui egli stesso vive) a quella di … .
Si è astenuto dall’incontrare direttamente i figli durante i colloqui con il CTU ed il giudice
delegato, pur avendone fatto richiesta, al fine di evitare supposti traumi ai figli stessi.
Si è insomma dimostrato genitore che davvero mira all’esclusivo benessere della prole,
sacrificando anche il suo legittimo desiderio di parlare con X e Y.
Ritiene tuttavia il Collegio di non poter collocare subito i minori con il genitore affidatario.
Come rilevato correttamente dal perito e dallo stesso CTP, allo stato i minori rifiutano
nettamente la figura paterna e potrebbe essere, quindi, deleterio collocarli ex abrupto con
un genitore che hanno “alienato”, rifiutandolo come “padre” e dal quale “crederebbero”
ancora di essere abusati.
Il Collegio condivide in toto tale conclusione, avendo direttamente verificato l’attuale
avversione dei minori verso W, nei cui confronti ha potuto tuttavia constatare – sia
attraverso la visione delle videoregistrazioni dei colloqui con CTU che a seguito
dell’ascolto di X e Y espletato dal Giudice delegato – che i bambini nutrono comunque un
sentimento di affetto e un forte legame, tradito dalle espressioni gestuali e, per quanto
riguarda il piccolo Y, espressamente ammesso fino a dichiarare che il padre e la di lui
famigli gli mancano, anche se “pochino, pochino” (v. verbale udienza 13.07.2015, in atti).
Ritiene, dunque, il Tribunale che, fermo il disposto affido esclusivo dei minori al padre, X e
Y – che devono essere allontanati dalla figura materna per poter emanciparsi dalla
dipendenza psicologica che hanno sviluppato nei suoi confronto – debbano essere
collocati, per un periodo di almeno sei mesi, presso una struttura di accoglienza
specialistica (individuata nella casa di accoglienza … di …) in modo da poter
gradualmente riacquisire indipendenza di pensiero e riavvicinarsi al padre, riscoprendo e
facendo riaffiorare i sentimenti sopiti per lui.
Nel periodo di collocazione presso terzi, i genitori potranno incontrare i figli almeno due
volte a settimana per i primi tre mesi e poi tre volte a settimana per il successivo trimestre,
ciascuno separatamente dall’altro, con l’assistenza e la partecipazione degli assistenti
sociali che provvederanno a formulare un programma di intervento sul nucleo familiare in
modo da garantire, al termine del previsto percorso semestrale ed in vista della successiva
collocazione dei minori presso il padre, il ritorno alla normalità nei rapporti tra X, Y e la
coppia genitoriale.
La richiesta di collocazione dei minori presso gli zii paterni, pure formulata da W, non può
essere accolta, avendo i minori manifestato sentimenti di avversione anche per la famiglia
del padre, per cui vivrebbero tale collocazione comune un ulteriore abuso.
Essendo i minori affidati a W e successivamente collocati presso di lui, deve essere
imposto alla K l’obbligo di contribuire al loro mantenimento.
Tenuto conto della circostanza che ella gestisce un negozio di fori a … e dispone quindi di
una propria capacità reddituale, si ritiene equo disporre che ella versi mensilmente a W,
per il mantenimento dei due figli, la somma di euro 150 per ciascun minore, con obbligo di
contribuire anche al pagamento delle spese straordinarie che si renderanno necessarie
per la tutela delle esigenze di studio, salute ed istruzione dei due figli.
Il Tribunale dispone poi che la K, una volta che i figli rientreranno a casa del padre, possa
vederli e visitarli due volte a settimana – il martedì e il venerdì – con l’assistenza e la
presenza degli assistenti sociali, dall’uscita della scuola sino alle ore 19.00.
Il convenuto aveva richiesto la declaratoria di decadenza della K dalla responsabilità
genitoriale.
Il Tribunale – competente a decidere sulla domanda ex art. 38 disp. att. c.c., poiché
incardinata in pendenza di procedimento insta turato per la regolamentazione della
responsabilità genitoriale della coppia in crisi (e, dunque, davanti al “giudice del conflitto” –
v., in tal senso, Cass. Civ., sez VI, ordinanza 26.01.2015, n. 1349), ritiene di non poter
accogliere detta richiesta.
E invero, se pur la K con il suo atteggiamento e la sua condotta ha dimostrato di essere
genitore inidoneo ad esercitare la responsabilità genitoriale congiuntamente all’altro, il
fatto che i bambini, pur condizionati nel loro giudizio di negazione del padre, siano apparsi
sereni, ben curati, seguiti sia in privato che nella vita scolastica (X è, in particolare,
bambina particolarmente intelligente e dotata, con un vocabolario ricco che usa in modo
appropriato al contesto in cui si trova), convince il Collegio a ritenere eccessiva la
sanzione richiesta, ben potendo le esigenze dei minori essere tutelate con il disposto
affido esclusivo e la previsione di incontri assistiti con i genitori che consentiranno ai
bambini di ricostruire un rapporto “sano” tanto col padre quanto anche con la madre.
Appare infine opportuno escludere la K dalla partecipazione alle decisioni di maggiore
interesse per i minori, in base al disposto dell’art. 337 quater c.c., sia in ragione
dell’accesa conflittualità tra i due genitori – che potrebbe condurre a situazioni di “stallo”
nocive per i bambini – che per la sua personalità prevaricatrice e manipolativa.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, ivi comprese
quelle di CTU liquidate con separato decreto.
Il Tribunale di Cosenza, definitivamente pronunciando sul ricorso presentato da K,
rigettata ogni altra richiesta, così provvede:
dispone l’affido esclusivo dei minori X e Y al convenuto W, con esclusione della K dalla
partecipazione alle decisioni di maggiore interesse per i figli;
colloca i due minori temporaneamente, per un periodo di mesi sei, presso il centro di
accoglienza … di …;
stabilisce che i minori vedano ed incontrino i genitori, con la presenza degli assistenti
sociali di … separatamente l’uno dall’altro (una volta il padre, una volta la madre), due
volte a settimana per i primi tre mesi e tre volte a settimana per il restante trimestre;
dispone che, esaurito il periodo semestrale di collocamento presso la predetta struttura, X
e Y siano collocati presso l’abitazione del padre, con il diritto della madre di vederli, alla
presenza degli assistenti sociali, il martedì ed il venerdì, dall’uscita di scuola sino alle ore
19.00;
pone a carico della K l’obbligo di contribuire al mantenimento dei due minori, versando a
W, entro i primi cinque giorni di ogni mese, la somma complessiva di euro 300, da
rivalutarsi annualmente secondo gli indici ISTAT, nonché di contribuire alle spese
straordinarie nella misura del 50%;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese legali sostenute dal convenuto che
liquida in euro 2.000;
pone definitivamente a carico della ricorrente K le spese di CTU liquidate con separato
decreto.
Fonte:http://www.laleggepertutti.it/