Nella sala d’aspetto del carcere di Chiavari, Flavio gioca con il suo orologio dei mostri. Ha sei anni e aspetta con la nonna di incontare papà. “Vedi quel palazzo tutto sporco, con la gru alta sul tetto? Quello è il palazzo che costruisce il mio papà”.
E’ una bugia. Rocco, il papà, ha 46 anni. Non lavora in “quel palazzo”; da parecchio tempo è detenuto per spaccio anche se ripete che “la droga non l’ho mai vista”. Oggi però è una giornata speciale per lui e il suo bambino. Niente parlatorio e corridoi scuri. Oggi padre e figlio si incontrano all’aria aperta, nel “giardino dei colloqui”. E’ uno spazio dentro le mura, arredato con una fontanella , tre pesciolini rossi, un cavalluccio e due tavoloni per mangiare quando fuori c’è il sole.
E oggi il sole c’è e ci sono pure patate arrosto, pollo allo spiedo e lasagne. Tutte pietanze cucinate in rosticceria perché per i detenuti che salutano le loro famiglie nell’area verde, la direttrice non bada a spese e compra primo, secondo e Coca cola in un negozio del centro. “E’ importante per i bambini che l’incontro con i loro genitori sia il più distante possibile dalle gabbia del carcere”, spiega Paola Penco, direttrice della casa circondariale.
La serratura del cancello scatta un’altra volta e nel giardino entra Edison, albanese di 35 anni, rinchiuso in carcere per una vecchia storia con una banda di rapinatori nel suo Paese. “Stamane verranno anche i miei bambini a trovarmi”, dice orgoglioso. E i suoi arrivano poco dopo: Giovanni, 4 anni, Angelo, 7, tenuti per mano dalla mamma incinta del loro fratellino. “Amore”, e si abbracciano, i bimbi con il papà, il marito con la moglie. Lei è all’ottavo mese, “un altro maschio”, dice con una punta di delusione, “ma l’importante è che quando nascerà, Edison sia fuori”.
Tra i bambini nasce subito una complicità. Corrono attorno alla fontana e con un filo d’erba tentano di dar fastidio ai pesciolini rossi che nuotano placidi. Neppure si accorgono che sono dentro un carcere a giocare. A turno salgono sul cavalluccio e ridono quando Rocco se li carica tutti e tre in braccio, uno sulle spalle, gli altri due sostenuti da quelle sue mani forti da muratore.
I grandi si siedono attorno al tavolo e scartano le vaschette di alluminio che hanno portato gli assistenti dalla rosticceria. Il pollo è ancora tiepido. Parlano della vita fuori, dei problemi dei bambini, la scuola, il raffreddore, e dell’avvocato, che dice: uscirò presto?
L’area verde nel carcere di Chiavari è la prima realizzata in Liguria. Centoventi metri quadrati, limitati da un muro pitturato di rosa e le case degli agenti penitenziari. Sul pavimento due tappeti di erba sintetica e piastrelle grigio chiaro. Il giardino è destinato ai padri detenuti e ai loro bambini. A differenza dei colloqui nel parlatorio, gli incontri nel giardino del carcere durano quattro ore anziché due. Per realizzare l’area verde, la Provincia ha contribuito con 20 mila euro, ma l’anima del progetto resta la direttrice del carcere. Ex numero due nella casa circondariale di Marassi, a Genova, laurea in giurisprudenza e una grande passione per il mestiere che ha scelto: “Grazie anche all’area verde e alla disponibilità che mostrano le guardie carcerarie, sono riuscita a cancellare la conflittualità tra i detenuti in un carcere che, come gli altri istituti, soffre dei mali cronici del sovraffollamento – 105 detenuti contro i 75 previsti – e della carenza di personale – 36 agenti contro i 62 in previsione di organico”.
Nel giardino, Rocco tira fuori il libretto con la foto di suo figlio in sella ad un cavallo bianco: “Qui sopra ci scrivo le mie poesie. Ce n’è una ispirata dall’ora all’aria verde: Ogni parola, ogni tuo sguardo l’ho catturato e lo porto nel mio cuore. Ho scritto queste parole perché giardini simili, negli altri carceri dove sono stato non ne ho mai visto ed è una cosa bella che ci sia”. Forse presto arriveranno nuovi finanziamenti per arredare meglio l’area; l’Ikea si è fatta avanti e ci sono sponsor privati che potrebbero metterci la loro parte.
“Lo speriamo”, dicono altri tre detenuti che hanno goduto dell’opportunità di incontrare i loro figli nel giardino del carcere. “Ai nostri bambini non abbiamo detto che siamo in prigione: sono piccoli e non vogliamo traumatizzarli. Incontrarli in quel giardino ci consente di vivere una situazione di apparente normalità ed evitar loro un altro dolore che non si meritano. E’ un sollievo poterli abbracciare lontano dalle sbarre, un sollievo per noi, ma anche per loro che non hanno nessuna colpa di quello che è successo”.
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