5 – Tribunali dei Minori e Servizi sociali: un vero disastro
Prosegue l’inchiesta di “Edizioni Oggi” sulle condizioni della giustizia e lo stato delle leggi, fra l’incapacità manifesta dei tribunali per i minori e i servizi sociali. Una delle leggi in vigore che più di altre pregiudica lo stato psicologico delle famiglie in corso di separazione e soprattutto dei bambini che, sostanzialmente, sono quelli che più di altri ne pagano le conseguenze, è quella che riguarda l’affido condiviso, che in Italia è oggetto di interpretazioni distorte e che, quando entrano in campo i servizi sociali, si trasforma in un vero e proprio inferno, ingestibile da parte soprattutto dei giovani e dei padri separati.La legge sull’affido condiviso ha profondamente modificato la disciplina della separazione e del conseguente divorzio, e attualmente vi sono all’esame del governo dei provvedimenti che spesso contrastano gli uni con gli altri.
Storicamente, la legge n.54/2006 ha sostituito la legge precedente sull’affidamento congiunto, ed è stata considerata una innovazione nel cosiddetto diritto di famiglia,·sancendo principi che aprono la strada ad una nuova intesa sui rapporti tra genitori e figli anche dopo la separazione. Concetti come bigenitorialità, condivisione, corresponsabilità, codecisione hanno mutato la dinamica dei rapporti familiari post-separazione, ponendo al centro dell’interesse i figli, i quali hanno il sacrosanto diritto di continuare ad avere un rapporto continuativo ed equilibrato con entrambi i genitori anche dopo la crisi irreversibile che ha dissolto la loro famiglia; di conseguenza ciascun coniuge deve accettare di confrontarsi e di dialogare con l’altro, nell’intento comune di crescere ed educare i figli, superando rancori e incomprensioni che non possono e non devono interferire negativamente sul corretto svolgimento delle relazioni figli-genitori. Nel nuovo contesto normativo ciascun genitore deve continuare ad occuparsi dei figli e deve essere per essi un punto di riferimento costante: in quest’ottica i due genitori, se da un lato hanno il dovere di collaborare nel prendere insieme le decisioni più importanti e significative per i figli, dall’altro hanno, ciascuno, il diritto di ritagliarsi degli spazi autonomi, nell’ambito dei quali costruire un nuovo rapporto con i figli, senza alcuna interferenza o ingerenza da parte dell’ex coniuge.
Nei fatti, la legge è quanto mai lacunosa e si presta per questo alle interpretazioni del singolo magistrato, e a seconda dei casi in esame.
E inoltre, tanto per citare un esempio pratico, un giudice è chiamato a decidere sull’affidamento condiviso, ma non stabilisce giorni e orari della frequentazione dei figli minori nei riguardi dei genitori, che a tutti gli effetti sono chiamati a trovare un accordo che, nella maggior parte dei casi, è statisticamente inesistente. Se i figli sono, nella maggioranza dei casi, affidato alla madre, questa opera una vera e propria guerra dei nervi nei confronti dell’ex coniuge, adoperando i figli minori come strumento di offesa. Mettendo in atto, quindi, una vera e propria strumentalizzazione, quando non un plagio che a tutti gli effetti, sia i servizi sociali sia il tribunale dei minori non solo tollera, ma in alcuni casi, addirittura favorisce. E inoltre, qualora in genitori in corso di separazione giudiziale non trovano un accordo (cosa di per se’ normale in una situazione del genere), i servizi sociali entrano in campo, causando maggiori disagi anziché alleviare la situazione. Fino al punto di suggerire al tribunale di levare la patria potestà ai genitori, ed andando, con un tale provvedimento, a totale danno dei minori.
L’applicazione della legge richiederebbe una certa elasticità mentale, poiché non è possibile fare rientrare tutti i casi trattati in obbligatorie etichette. Ogni caso è un caso a parte, e come tale andrebbe trattato.
Da quello che si vede, la situazione è la seguente: i giudici, in sede di prima udienza, tentano di favorire l’accordo fra i genitori, IN caso questo venga a mancare, e i reciproci avvocati non riescano a mettere d’accordo le parti, automaticamente la scelta dell’affidamento ·favorisce la madre. Questo è il primo e importante punto. Perché? Forse un uomo può non essere in grado di curare i propri figli quanto una dona? A che titolo questa decisione viene presa, praticamente nel cento per cento dei casi, a favore della moglie?
Tribunali dei Minori e giudici a volte imboccano fin dal principio la strada sbagliata. Che può avere conseguenza anche tragiche sull’equilibrio di un bambino. E perfino drammatiche, come l’episodio accaduto in provincia di Brescia, dove un padre disperato ha ucciso la figlia di 3 anni e poi si è tolto la vita perché la stessa bambina era stata affidata alla madre.
E un altro casso riguarda, ad esempio, la decisione presa dal giudice Roberto Ianniello, del tribunale dei minori di Sezze, in provincia di Latina: ci si domanda se siano davvero necessari ben 14 agenti di polizia della “Squadra Catturandi” (gli stessi che compiono le operazioni di caccia ai boss mafiosi) per prelevare un bambino di 14 anni che, secondo il decreto del giudice Ianniello, doveva essere “confinato” (è il caso di usare proprio questo termine) in una casa.-famiglia, con l’assoluto divieto per i parenti stretti, naturalmente inclusi i genitori, di vederlo.
In merito a tale episodio, il Comitato Vittime Giustizia Minorile, ha rivolto numerosi appelli, uno dei quali diretto al presidente del tribunale dei Minori di Roma, Dr.ssa Melita Cavallo (foto), che probabilmente non è la persona più adatta, visto che lei in prima persona ha all’attivo diverse querele e denunce per lo stesso motivo.
L’appello, che qui pubblichiamo, è un vero e proprio atto di denuncia del malfunzionamento che, in Italia, è caratteristico dell’istituzione del Tribunale dei Minori:
“Roma, 22 aprile 2010
Gentile dottoressa Cavallo, desideriamo con la nostra iniziativa stigmatizzare la sproporzione del provvedimento emesso nei confronti del figlio della signora V. P., rispetto alla dimensione del caso in oggetto. Riteniamo, infatti che l’ultimo decreto del giudice Roberto Ianniello, sia da ritenersi di una crudeltà rara.
Quattordici agenti della squadra catturandi della Questura di Latina, inviati su ordine del Tribunale dei Minori per prelevare un bambino destinato ad una casa famiglia, sono la diretta conseguenza della legittimazione all’uso della forza (vincere ogni resistenza…) contenuta esplicitamente nel provvedimento del dott. Ianniello. Nello stesso decreto è ancora fatto divieto per la madre di vedere il figlio.·Tali disposizioni appaiono davvero un affronto al buonsenso e si discostano radicalmente dai migliori orientamenti e sensibilità che in tema di diritti dei bambini intendono promuovere una cosiddetta “giustizia mite”.
Ci domandiamo, inoltre, cosa sarebbe accaduto nella psiche del bambino, se egli fosse stato presente al blitz. E ci rispondiamo che questo avrebbe certamente provocato effetti devastanti molto più gravi di qualsiasi lacuna genitoriale. Un bambino di 8 anni non può essere violentemente strappato alle cure materne, con l’uso della forza pubblica, se non per ragioni gravissime che direttamente mettono in pericolo la sua integrità psico-fisica e in conformità ai pareri espressi da specialisti che hanno avuto modo di vedere, conoscere e ascoltare il minore. Nel caso del piccolo Antonio Lorenzo Fieramonti questi presupposti sono completamente assenti.
Il dott. Sabatello, CTU del caso, nella sua relazione non ha neppure ipotizzato un allontanamento nè morbido nè brusco dalla madre, ma ha solo suggerito ambiti di terapia e di ascolto. Dobbiamo purtroppo constatare che non è la prima volta che alcuni giudici di codesto Tribunale, nato per rappresentare e tutelare i minori nel miglior modo possibile, si distinguono per provvedimenti traumatizzanti per la fragile psiche dei bambini.
Quanti distacchi da genitori idonei e affezionati sono stati ordinati, solo per “guarire” l’avversione verso l’altro genitore? Quanti bambini hanno dovuto abbandonare scuola, compagni e affetti su ordine del Tribunale? Negli ultimi due anni ne abbiamo visti diversi e non riteniamo sia un bene creare degli orfani artificialmente, quando si deve percorrere la strada dell’ascolto e della cura del minore e delle relazioni familiari.
Il Tribunale per i Minorenni, considerato l’altissimo compito di tutela dei bambini, deve sapere interpretare la sua missione uscendo dalla logica ottocentesca e di stampo arcaico-patriarcale di esercizio del potere che impone comportamenti agli interpreti familiari (figli-madre-padre), ma deve invece sapere utilizzare con sapienza e prudenza tutti gli strumenti diagnostici, terapeutici, di mediazione e di ascolto per tutelare il benessere dei bambini aiutando i genitori in difficoltà.
La segregazione dei bambini “nelle case famiglia” deve essere una soluzione estrema sostenuta davvero da ragioni di protezione da pericoli e gravissimi pregiudizi per i bambini, non può invece diventare la pena da comminare nel caso in cui qualcuno dei familiari “osi” disubbidire agli ordini del giudice. Le relazioni familiari, i bisogni dei bambini, gli affetti appartengono ad un universo complesso e articolato, e necessitano di per sè di competenza, pazienza, ascolto ed empatia emotiva. E’ in questa direzione che Le chiediamo di condurre l’operato dei giudici del Tribunale che Lei dirige. L’appello che questo comitato di cittadini le rivolge, quindi, ha lo scopo di suscitare una riflessione autentica sulla situazione attuale della giustizia minorile.
I bambini non possono essere equiparati a beni mobili dei quali si dispone il “sequestro” nell’attesa che i genitori trovino un accordo, in tal modo privando il figlio dei suoi affetti, delle sue abitudini, dei suoi compagni di classe, dei suoi punti di riferimento affettivi e relazionali. Il disagio va ascoltato e poi curato, ma non punito. Il giudice di un Tribunale per i Minorenni è chiamato ad aggiungere alla sua professionalità una ricchezza umana e una sensibilità che devono caratterizzare le competenze di un giudice ordinario; senza queste doti e senza questa consapevolezza, si finisce per confondere un criminale latitante con un bambino che manifesta il suo disagio (qualunque esso sia) disubbidendo agli ordini del giudice e rifiutando di andare con suo padre o in casa famiglia.
In conclusione a questo nostro appello, Le chiediamo di restituire al piccolo A. la speranza di essere ascoltato e capito con un percorso terapeutico (così come chiedeva la CTU) e un giudice che sappia prendere provvedimenti con la serenità che questo caso richiede. Le chiediamo inoltre di avviare una riflessione all’interno del Tribunale che sappia individuare, alla fine del suo percorso, delle precise linee direttive che guidino i giudici nel loro difficile compito e che entrino nel merito delle disposizioni del collocamento “in casa famiglia” indicando i casi gravi che possono giustificare tale soluzione.
L’appello che Le rivolgiamo è appoggiato dal “Movimento per L’Infanzia” e dalle venti associazioni che ne fanno parte, promosso dal “Comitato Vittime Giustizia Minorile” e sostenuto dalle circa 2000 persone che lo hanno sottoscritto, cui l’elenco delle firme è allegato“.
Ogni commento è davvero superfluo.
Il caso è arrivato al Parlamento, dove l’on.Stefano Pedica, di Italia dei Valori, ha dato avio ad una azione diretta contro il tribunale dei minori in genere e contro il tribunale dei minori di Roma in particolare, che riporteremo nella prossima puntata dell’inchiesta.
(Fine quinta parte)