Provare i guadagni in nero dell’ex
Per la prova dei guadagni in nero dell’ex occorre che la documentazione prodotta in giudizio venga integrata da indagini personali del coniuge interessato e/o dalle indagini di polizia e anagrafe tributaria disposte dal giudice.
Capita spesso che, nei giudizi di separazione o divorzio nei quali si debba determinare il diritto e la misura di un assegno di mantenimento, la situazione patrimoniale dichiarata dai coniugi non corrisponda a quella reale. Sia il marito che la moglie, infatti, possono avere interesse a nascondere le loro reali diponibilità economiche; il primo al fine di sottrarsi all’obbligo di versare il mantenimento alla ex e quest’ultima allo scopo di ottenerlo in misura maggiore di quanto non le spetti in realtà.
Cosa prevede la legge
La legge, a riguardo, dispone come unico onere a carico dei coniugi quello di allegare all’atto introduttivo della domanda di separazione copia delle ultime dichiarazioni dei redditi presentate [1].
In aggiunta a tale prescrizione, alcuni Tribunali invitano le parti (di solito nei provvedimenti di fissazione dell’udienza presidenziale) a depositare ulteriori documenti (come ad es. visure al Pra, estratti dei conti correnti bancari, ecc.) o una autocertificazione relativa al patrimonio.
Ma tutto questo spesso non basta.
Occorre, invece, fornire al giudice elementi ulteriori tali da far presumere anche i guadagni in nero dell’ex.
Solo attraverso una visione globale e veritiera delle disponibilità economiche di ciascun coniuge, infatti, il giudice potrà determinare una misura dell’assegno (di mantenimento e divorzile) il più equa possibile.
In questi casi, tra l’altro, la tutela della privacy e della riservatezza sui dati sensibili cede il passo alla necessità che sia assicurato il mantenimento della prole e del coniuge economicamente più debole.
Per tale ragione il giudice ha un ampio potere di valutazione delle prove nell’ambito dei procedimenti riguardanti la tutela della famiglia e non è tenuto a considerare in via esclusiva i documenti ufficiali esibiti agli atti.
Le indagini
Le parti, perciò, possono svolgere un’autonoma attività di indagine (anche avvalendosi di investigatori privati) al fine di acquisire i documenti e le informazioni necessarie a provare i redditi reali e l’effettivo stile di vita del coniuge (viaggi, abiti costosi, collaboratori familiari). In mancanza di prova, invece, le domande potrebbero non essere accolte dal giudice.
In base, infatti, al principio dell’onere della prova [2] deve essere la parte che ne ha interesse a fornire al giudice elementi tali da indurlo a ritenere plausibile che le disponibilità e i redditi del soggetto, siano in realtà, superiori rispetto a quanto risulti dai documenti esibiti.
Il rapporto redatto dall’investigatore, tuttavia, non può essere utilizzato come prova all’interno del processo. Occorre, invece, che quest’ultimo sia chiamato a testimoniare davanti al magistrato (prova orale, dunque, e non documentale) sui fatti stessi [3]. Pertanto, la semplice produzione in giudizio del dossier del detective non è sufficiente a dimostrare al giudice le risultanze in esso contenute.
Qualora, poi, le informazioni fornite al giudice risultino carenti o tra loro contrastanti, il magistrato potrà chiedere alla polizia tributaria[4] di svolgere le opportune indagini; esse, per espressa previsione di legge [5], potranno estendersi anche a prestanome di beni o attività riconducibili ad uno dei coniugi, grazie ai quali l’ex potrebbe aver occultato il proprio patrimonio.
L’interessato potrà anche chiedere al giudice di ordinare l’esibizione di determinati documenti a terzi soggetti (come ad esempio il datore di lavoro, la banca presso la quale in cui il coniuge ha un conto corrente, ecc.) al fine di verificare la misura del patrimonio, così come potrà chiedere che vengano sentiti in giudizio come testimoni persone in grado di fornire informazioni utili ad accertare quale sia l’effettivo lavoro svolto dal soggetto (anche se “in nero”).
Ma non basta. A tale potere di indagine del magistrato, nei casi in cui dalla documentazione agli atti emergano dati reddituali incompleti o contrastanti con lo stile di vita prospettato, la riforma della giustizia [6] ha affiancato quello di avvalersi dell’ufficiale giudiziario e dei suoi nuovi poteri di ricerca telematica [7] attraverso il ricorso all’Anagrafe tributaria.
In altre parole, se al fisco risulta una situazione di scarsezza di mezzi di sostentamento, ma il coniuge riesce a dimostrare che l’ex conduce uno stile di vita incompatibile con le entrate dichiarate, il giudice dovrà tenerne conto nel determinare l’assegno di mantenimento (sia per l’ex che per la prole) [8].Ciò in quanto la decisione del giudice è discrezionale e non vincolata dalla documentazione fiscale alla quale si può, semmai, attribuire solo un valore indiziario [9].
Fonte: www.laleggepertutti.it