Quando costituirsi parte civile
L’art. 79 del codice di procedura penale prevede che la costituzione di parte civile debba avvenire o “per” l’udienza preliminare o prima del compimento degli adempimenti di cui all’art. 484 comma 1 c.p.p..
Tralasciamo la prima parte, senza mancare di rilevare l’uso ambiguo della preposizione “per” riferita all’udienza preliminare e soffermiamoci sulla seconda.Il primo comma dell’art. 484 del codice di rito si occupa del primo segmento temporale processuale (sia dal punto di vista logico che da quello giuridico), consistente nella verifica della regolare costituzione delle parti.
E’ quanto mai opportuno che prima di addentrarsi nel merito del processo, il giudice accerti se in effetti si sia instaurato un valido rapporto processuale, la cui assenza impedisce di andare oltre.
Dunque tiriamo le somme: la parte civile deve costituirsi (non solo “preannunciare” l’evento) prima che siano compiuti (id est: completati) gli accertamenti tendenti a verificare che si sia correttamente instaurato un valido rapporto processuale.
Esaurita questa sub-fase, il giudice passa a esaminare i temi indicati nell’art. 491 denominati “questioni preliminari” (competenza, connessione, nullità, citazione di altri eventuali soggetti processuali, contenuto del fascicolo per il dibattimento, riunione o separazione di giudizi, ecc.).
Esaurito questo secondo momento, il giudice dichiarerà finalmente aperto il dibattimento, concedendo la parola al P.M..
Dunque la fase che precede l’apertura del dibattimento è sostanzialmente formata da due momenti distinti fra loro, anche da punto di vista cronologico, oltre che sistematico: la verifica della regolare costituzione delle parti e la trattazione delle questioni preliminari. Queste due fasi, sebbene nella pratica caotica dei nostri tribunali siano quasi sovrapposte con l’impercettibilità della loro distinzione, in realtà sono da tenersi distinte ai fini della individuazione del momento ultimo in cui è consentita (al dibattimento) la costituzione di parte civile.
Ne consegue che, secondo il combinato disposto degli artt. 79 e 484 la costituzione di P.C. deve avvenire nel primo dei due segmenti, quello che concerne la verifica della regolare costituzione delle parti.
Ciononostante la corte di Cassazione ha avuto in passato degli “sbandamenti”, fissando la preclusione solo con la dichiarazione di apertura del dibattimento di cui all’art. 492 c.p.p. e consentendola pertanto la costituzione anche in ipotesi di rinvio (o di vari rinvii). Per tutte: “È rituale la costituzione di parte civile avvenuta in sede di udienza di rinvio, purché non sia stata dichiarata l’apertura del dibattimento”. Cass. pen., Sez. V, 13/12/2006, n. 4972.
Recentissimamente tuttavia la suprema corte è tornata su suoi passi e con una sentenza che risale al 2009, interpretando il suo ruolo di nomofilachia, ha rimesso ordine nella materia, “bacchettando” anche precedenti orientamenti difformi (testualmente: “non sono condivisibili quegli arresti giurisprudenziali che spostano la ritualità della costituzione di parte civile fino a che non sia dichiarato aperto il dibattimento” (Cass. Pen. sez. terza 17.06.2009, n. 25133).
Il ragionamento della suprema corte non fa una piega: dalle norme sopra ricordate risulta chiaramente che la costituzione di parte civile deve avvenire, a pena di decadenza, fino a che non siano compiuti gli adempimenti relativi alla regolare costituzione delle parti. E’ in tale fase infatti che bisogna stabilire quali siano le parti “legittimate” a stare in giudizio, prendere la parola e legittimate a trattare perciò le questioni preliminari di cui al secondo segmento.
Conseguentemente, definita la sotto-fase prevista dall’art. 484, non sarà più possibile introdurre l’azione civile nel processo penale.
Quid juris nel caso in cui la parte offesa (perché è tale sino alla “valida” trasformazione in parte civile) sia presente in aula e “preannunci” o addirittura “manifesti” la volontà di costituirsi parte civile, senza però procedere agli adempimenti formali previsti dall’art. 78 c.p.p.?
La risposta non ammette tentennamento alcuno: la costituzione deve avvenire in un certo modo, mediante l’utilizzo di una certa forma (scritta) e deve contenere tutta una serie di elementi, compresa la valida dichiarazione proveniente dalla persona legittimata o dal suo procuratore.
Dunque qualunque atto o manifestazione di volontà che non sia accompagnata dalle formalità indicate nell’art. 78 é da ritenersi tamquam non esset e pertanto irrimediabilmente invalidante la costituzione di P.C..
Tale soluzione è stata da sempre condivisa dalla suprema corte, che con sentenza 45207/01 ha avuto modo di affrontare la questione: il difensore aveva manifestato, addirittura anche prima della lettura del capo di imputazione, la volontà di costituirsi parte civile, mostrando persino al tribunale il relativo atto che però non veniva consegnato al segretario di udienza.
Ebbene, la Cassazione ha ritenuto – a ragione – che ciò non potesse essere equiparato al compimento delle formalità previste dall’art. 78 c.p.p., dichiarandone la inammissibilità.
Ma tornando alla sentenza 25133/09, che ha annullato una decisione del tribunale di Catania, essa assume un forte rilievo anche in ordine alle conseguenze derivanti da una costituzione effettuata fuori termine secondo i canoni corretti, ma tuttavia ammessa dal giudice.
La sanzione (processuale) applicabile è cosa del tutto distinta da eventuali nullità o preclusioni che trovano la loro regolamentazione nel primo comma dell’art. 491, il quale fissa l’irrimediabile sbarramento costituito dal compimento per la prima volta dell’accertamento della costituzione delle parti.
In tal caso la sanzione che il codice commina è quella della “preclusione”, consistente nel fatto che la questione non può essere più riproposta.
Il secondo comma dell’art. 79 c.p.p. (che si attaglia al tema in questione) prevede espressamente la decadenza dell’azione.
La conseguenza di tutto ciò è l’applicabilità di detta sanzione processuale senza limiti temporali, di fase o di grado, restando preclusa ovviamente solo nell’ipotesi di giudicato che – per definizione – rimane insensibile a tutte le patologie processuali.
Trovando l’inammissibilità fondamento nell’esigenza di uno sviluppo processuale corretto e perciò nell’interesse pubblico, essa non necessita di apposita eccezione di parte, essendo rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del giudizio.
E’ scontata poi la sua inderogabilità ad opera delle parti, per cui è fuori luogo parlare di acquiescenza, anche nell’estrema ipotesi di espressa accettazione della costituzione fuori termine da parte degli altri soggetti processuali, proprio perché la sanzione della inammissibilità è sottratta alla volontà delle parti.
Rimane, come ovvio, la possibilità di esercitare l’azione civile nella sede appropriata, in quanto la decadenza dell’azione non fa venir meno il diritto sottostante.
Inoltre la inammissibilità dichiarata nei gradi successivi al primo non travolge l’intero processo, ma solo la parte che riguarda la pretesa civilistica.
Alla luce di quanto sopra, occorre rivedere la prassi adottata in molti uffici giudiziari che hanno istituito di fatto l’ “udienza di distribuzione” o “udienza-filtro” (la prima) non prevista dal codice, ma che ha un suo fondamento razionale, tant’è che diverse ipotesi di riforma la prevedono espressamente.
Difatti molto spesso, dopo la verifica della regolare costituzione delle parti, il giudice rinvia ad altra udienza, senza aprire il dibattimento, pur citando i testi, per consentire la trattazione al giudice che, secondo tabella preventiva, viene designato e lasciando anche spazio all’imputato per accedere ai riti speciali, il cui sbarramento processuale è “spostato in avanti” rispetto alla costituzione di P.C..
Questa prassi tuttavia porta inesorabilmente alla inammissibilità della costituzione di parte civile se essa non avviene alla “primissima” udienza e nei termini sopra indicati, udienza che assai spesso è trattata con disinteresse dai difensori, proprio perché in essa non si svolge alcuna “proficua” attività processuale.
E’ perciò una prassi da rivedere per evitare spiacevoli sorprese che possono venire fuori, magari soltanto in Cassazione.
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