Riflessioni sull’inchiesta “Angeli e Demoni” – Antonio Forza e Gustavo Sergio
Riflessioni di Antonio Forza avvocato penalista e di Gustavo Sergio ex magistrato minorile
(10 luglio 2019) Le notizie di stampa, sull’inchiesta della Procura di Reggio Emilia “Angeli e Demoni”, che ha visto il coinvolgimento del Centro Studi Hansel e Gretel di Torino e del suo direttore scientifico, non può non turbare i lettori.
Secondo il quadro accusatorio, la rete dei servizi sociali della Val D’Enza si sarebbe resa responsabile di false relazioni per allontanare bambini dalle loro famiglie di origine e collocarli in affido retribuito presso amici e conoscenti. I protagonisti di tali iniziative, da quanto si è letto, sarebbero accusati a vario titolo di frode processuale, abuso d’ufficio, maltrattamenti su minori, lesioni gravissime, falso ideologico, violenze private, ecc. ecc..
Non vogliamo anticipare alcun giudizio sulla responsabilità dei soggetti coinvolti. Siamo garantisti e crediamo fermamente nel principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. Lasciamo quindi alla Magistratura il compito di fare piena luce sulle condotte ravvisate nelle imputazioni provvisorie.
Conosciamo però da sempre il Centro Hansel e Gretel, il suo approccio metodologico nei casi di presunto abuso e la sua storia. E’ proprio per questa conoscenza che continuiamo ad appuntare la nostra critica senza infingimenti.
Si tratta di contrapporre a pratiche basate su false certezze, essenzialmente su partigianeria ideologica, soggettivismo, discrezionalità, su strumenti di indagine incompatibili con il principio del contraddittorio, – che producono una deformazione professionale degli operatori dei servizi e dei consulenti seguaci di tale approccio, proiettati alla esclusiva ricerca di reati sessuali piuttosto che al benessere ed all’equilibrio educativo dei minorenni – un discorso nuovo sul metodo, con prudenza e spirito scientifico, lasciando aperti gli spazi mentali che l’indagine scientifica dei fenomeni, specie quelli psicologici e sociali, richiede.
Ecco dunque perché nel 1996 nacque la prima Carta di Noto, concepita per elaborare un diverso approccio metodologico nei processi di abuso su minori. Essa fu il risultato del lavoro di studiosi, psicologi, neuropsichiatri infantili, magistrati, avvocati, docenti universitari, che sentivano la necessità ed il dovere morale di intervenire con un documento che avrebbe dovuto proporre un diverso modello epistemologico ed una metodologia scientificamente fondata per i professionisti chiamati anche come esperti nei processi penali aventi ad oggetto abusi su minori.
Proprio per questo la Carta di Noto fu oggetto di forsennate critiche, tacciata e vilipesa addirittura quale prodotto di “quattro pedofili”, critiche mosse proprio da alcuni protagonisti dell’attuale vicenda, responsabili, questo si, di aver ingenerato nel paese attraverso la cassa di risonanza sia del Centro studi che di un più esteso Coordinamento un clima di “caccia alle streghe”.
Duole anche ricordare che, prima del suo affermarsi, la Carta di Noto era stata osteggiata anche da molti magistrati anche se ciò era almeno spiegabile per il prevalere della logica inquisitoria diretta all’accertamento del reato.
Oggi questo documento giunto nel 2017 alla sua IV edizione, ha tracciato le linee guida per l’ascolto del minore, che anche la giurisprudenza della Suprema Corte ha validato come metodo al quale fare riferimento nei processi di abuso, linee guida perciò considerate come una stella polare dalla maggioranza dei magistrati e degli esperti.
Per quanto riguarda la gestione dei provvedimenti di allontanamento dei minorenni dalle famiglie di origine va ricordata la vecchia concezione della giustizia minorile funzionale all’adozione dei provvedimenti assolutamente discrezionali previsti dall’art. 333 c.c. Si tratta di una disposizione del codice civile del 1942, dunque riferibile ad un’epoca antecedente al riconoscimento dei diritti inviolabili della persona, anche quelli dei minorenni formalizzati dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989.
Perciò se per un verso l’art. 315 bis c.c. – inserito solo 7 anni fa nel codice civile dalla L. n. 219 del 2012 – stabilisce che il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali, e delle sue aspirazioni, …. di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, per l’altro il Tribunale per i minorenni – secondo l’art. 333 c.c. – quando la condotta di uno o di entrambi i genitori … appare comunque pregiudizievole al figlio il giudice, secondo le circostanze, può adottate i provvedimenti convenienti e può anche adottare l’allontanamento di lui dalla residenza familiare.
Da sottolineare che la categoria ” pregiudizio” utilizzata dalla disposizione non ha natura giuridica come quella di “danno”, ma si riferisce alla valutazione discrezionale della condotta del genitore da parte del giudice.
Dunque due concezioni molto diverse, che avevamo anche indotto il legislatore poco tempo fa a promuovere un disegno di legge per l’abolizione del tribunale per i minorenni (istituito nel 1934) e la nascita del “tribunale per la famiglia”. Sennonché la mancanza di una riforma coerente non solo sotto il profilo dell’Ordinamento Giudiziario ma anche su quello del diritto sostanziale e processuale, ha fatto prevalere le istanze conservatrici di ampia parte dei giudici minorili. Oggi dunque ogni progetto di riforma della giustizia minorile è rinviato a tempo indeterminato.
Duole rappresentare come nel corso degli anni anche la Giustizia Minorile non sia riuscita ad affinare i propri strumenti di conoscenza e valutazione delle condotte umane basati su paradigmi, fondati sul sapere scientifico, ma abbia dato spesso credito al prodotto di modelli pseudoscientifici basati sul mero soggettivismo.
Antonio Forza e Gustavo Sergio
10 luglio 2019
Fonte:Società di Psicollogia Giuridica SPG Newsletter