N.21865/10 – AUMENTO ASSEGNO DI MANTENIMENTO SE MOGLIE RILASCIA L’IMMOBILE
(Corte di Cassazione, Sez. I, 25.10.2010, n. 21865 – dr. Mariagabriella Corbi)
Con la sentenza n. 21865/2010, i Giudici della Suprema Corte ha respinto il ricorso, proposto da una donna contro il marito, per l’ottenere l’aumento dell’assegno di mantenimento qualora avesse lasciato l’immobile in uso gratuito che occupava. Precedentemente la Corte di Appello di Roma, intervenendo sul giudizio di primo grado, le riconosceva un assegno mensile di Euro 800 – dal precedente di 500 euro – nel momento in cui fosse stata costretta a liberare da persone e cose l’immobile attualmente occupato e quindi affrontare un canone di locazione. In tale frangente la Corte ha rammentato che la valutazione della cifra dell’assegno di mantenimento è dovuta ad una preventiva ipotesi e poi realizzata di rilascio dell’alloggio occupato in condizioni di gratuità.
Come si arriva alla determinazione dell’assegno di mantenimento:
• In primis il Giudice deve verificare l’esistenza del diritto in astratto “in relazione all’inadeguatezza dei mezzi o all’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio”.
L’assegno di mantenimento è un istituto previsto dal Codice civile all’articolo 156, secondo cui “il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a carico del coniuge cui non sia addebitabile la separazione, il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri”.
Per comprendere a pieno la ratio dell’istituto occorre innanzitutto rilevare che la separazione ha carattere temporaneo, ben potendo i coniugi decidere di riconciliarsi. È proprio questo carattere di “precarietà” che non fa venir meno quanto disposto dall’articolo 143 c.c. e che, quindi, permette di considerare ancora esistente un vincolo di solidarietà morale e materiale che lega i coniugi, anche se giudizialmente separati.
Nella giurisprudenza della Corte di legittimità si trova costantemente affermato il principio secondo il quale condizione essenziale per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione è che questi sia privo di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli consentano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, nonché che sussista una disparità economica tra i coniugi (Cass. Civ. 12.12.2003 n. 19042; Cass. Civ. 18.09.2003 n. 13747; Cass. Civ. 08.08.2003 n. 11965; Cass. Civ. 19.03.2003 n. 4039)
Pertanto il giudice dovrà previamente valutare tale tenore di vita, e soltanto all’esito di questa operazione, potrà esaminare se i mezzi economici a disposizione del coniuge che lo abbia richiesto siano tali da consentirgliene la conservazione indipendentemente dall’assegno. In caso contrario, dovrà procedersi alla valutazione comparativa dei mezzi economici di ciascun coniuge al momento della separazione, al fine di stabilire se tra essi vi sia una disparità economica che giustifichi l’imposizione dell’assegno, nonché la misura dello stesso (da ultimo Cass. 12 luglio 2007 n. 15611, 28 febbraio 2007, n. 4764; 23 febbraio 2006, n. 4021).
Il giudice, ritenuto il diritto all’assegno di mantenimento, al fine di valutare la congruità dello stesso deve:
1. prendere in considerazione il contesto sociale nel quale i coniugi hanno vissuto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e quantità dei bisogni emergenti del coniuge istante;
2. accertare le disponibilità economiche del coniuge a carico del quale va posto l’assegno, dando adeguata motivazione del proprio apprezzamento (cfr. Cass. 30 luglio 1997, n. 7127).
• In secundis il giudice deve individuare l’“ an quantum” procedendo alla determinazione in concreto dell’assegno sulla base:
1) proporzione alle sostanze dell’obbligato: deve considerarsi non solo la situazione economica al momento della proposizione della domanda giudiziale, ma anche il complesso della situazione economica, in relazione alla sua capacità economica nelle varie epoche anteriori alla decorrenza dell’assegno, con specifico riguardo alla sua attività lavorativa(Cass. 22 agosto 2006 n. 18241) secondo la quale è sufficiente un’attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi). La determinazione del reddito può aversi per via deduttiva, attraverso l’esame della dichiarazione dei redditi, sia attraverso l’accertamento compiuto dagli ufficiali fiscali, sia attraverso la considerazione che il coniuge pur non risultando avere beni propri o una propria fonte di guadagno, è tuttavia in grado di condurre una vita agiata. Deve anche tenersi conto di ciò che l’obbligato riceve dai genitori durante il matrimonio e che si protraggono in regime di separazione con carattere di regolarità e continuità;
2) condizioni economiche del beneficiario: il bisogno del coniuge può essere sia totale che parziale, cioè dato dalla differenza tra il reddito di lavoro o patrimoniale del coniuge che deve essere mantenuto e quello di colui che è tenuto al mantenimento ((Cass. 28 aprile 2006 n. 9876, 12 giugno 2006 n. 13592, 19 giugno 2003 n. 9806). Con riferimento alle condizioni dell’istante, vengono espressamente inclusi tra gli elementi che rappresentano un’utilità economicamente valutabile: 1) l’ottenuto godimento della casa coniugale (Cass. 30.1.1992, n. 961); 2) la disponibilità del prezzo dell’alienazione di un immobile (Cass. 2.7.1994, n. 6774); 3) i redditi di qualsiasi natura ed i cespiti in godimento diretto (Cass. 13.1.1987, n. 170). Quando il coniuge separato costituisca un nuovo rapporto di convivenza caratterizzata dalla stabilità, è corretto attribuire rilievo, ai fini della quantificazione del suo diritto al mantenimento da parte dell’altro coniuge, alle prestazioni di assistenza che gli vengano corrisposte da parte del convivente more uxorio, quando esse escludano o riducano lo stato di bisogno, a condizione che abbiano carattere di stabilità ed affidabilità (Cass. 12 luglio 2007 n. 15611, 28 febbraio 2007 );
3) altre circostanze ex art. 156, II co., cod. civ.: la norma contempla quelle situazioni in cui, pur in presenza di una possibilità di lavoro per il coniuge beneficiario, questi, cui non è addebitabile la separazione, non può essere costretto a ridimensionare e a trasformare un sistema di vita, soprattutto quando, vista l’età in genere matura, non gli è possibile dare inizio o riprendere una attività lavorativa. La Prima sezione civile della Cassazione di Bari – sentenza 24858 anno 2008 ha riconosciuto , nell’assegno divozile, i sacrifici affrontati dal coniuge più debole per consentire, in regime matrimoniale, l’accrescimento professionale dell’altro coniuge. Identica la ratio della sentenza della Cassazione 12 aprile 2001, n. 5492, laddove spiega che l’assegno di mantenimento deve essere concesso al coniuge per assicurargli il pregresso tenore di vita senza costringerlo a tal fine ad alienare il proprio patrimonio immobiliare. La Cassazione ha anche spiegato che se prima della separazione i coniugi avevano concordato o anche solo tacitamente accettato che uno dei due non lavorasse, l’accordo può conservare efficacia anche durante la separazione, tendendo la disciplina della separazione ad assicurare il più possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza (Cass. 18.8.1994, n. 7437). Si è, infatti, affermato che l’attitudine al lavoro del coniuge separato acquista rilievo non in senso astratto, quale generica possibilità di reperire e svolgere una qualunque attività lavorativa, ma soltanto se si traduca in una effettiva possibilità di svolgere un lavoro retribuito, valutati tutti gli elementi oggettivi e soggettivi (cfr. Cass. 17.10.1989);
4) utilizzazione della casa familiare: il giudice, nel determinare l’assegno di mantenimento, potrà contenerne l’ammontare, stabilendo che il coniuge beneficiario potrà disporre della casa coniugale e del relativo arredo. L’art. 155, IV co., cod., civ., dispone che “l’abitazione della casa familiare spetta di preferenza, ed ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”; secondo autorevole dottrina per casa familiare deve intendersi “luogo o dimora abituale della famiglia … e si identifica topograficamente con la residenza della famiglia” . Circa l’arredo, si ritiene che il giudice potrà assegnarlo alla moglie salvo quella parte di esso che è strettamente necessaria al marito cui sia addebitata la separazione.