N.23590/10 – No al mantenimento per il figlio maggiorenne con lavoro precario
Se hai avuto un lavoro, vuol dire che lo ritroverai. E il licenziamento non fa rinascere l’obbligo di mantenimento.
Così la Corte di cassazione (sentenza n.23590/2010) ha affrontato il caso di un marito, separato dalla moglie, che dalla Corte d’appello di Firenze aveva ottenuto, tra l’altro, l’azzeramento dell’assegno corrisposto mensilmente al figlio (maggiorenne da due anni) in ragione del fatto che aveva trovato un lavoro, anche se a tempo determinato.
La moglie aveva presentato ricorso per una serie di motivi, dei quali il quinto riguardava appunto la questione della perdita del lavoro da parte del figlio: per la ricorrente la disoccupazione era sopravvenuta a un contratto a tempo determinato, quindi il figlio non poteva dirsi entrato stabilmente nel mondo del lavoro.
Ma la Corte ha respinto il motivo anzitutto sotto il profilo dell’inammissibilità, definendolo una «sollecitazione a riesaminare criticamente la consulenza sulla quale il giudice di merito si è basato, e quindi proponendo una questione di merito inammissibile».
Lo stesso mezzo, ha proseguito la Corte, è infondato anche per l’aspetto più legato alla concretezza della situazione, cioè per l’avere il giudice d’appello “dimenticato” il licenziamento. Secondo i giudici «il diritto del coniuge separato di ottenere dall’altro coniuge un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato a espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un’adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore». Per la Cassazione, quindi, l’unica cosa che conta è aver dimostrato di sapersela cavare, una qualità che paradossalmente si rivela una handicap per chi cerchi di riottenere l’aiuto paterno nel momento in cui perde il lavoro. Tanto che non assume «alcun rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori le quali, se pur determinano l’effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno». Sullo stessa linea, ricordano i giudici, la Cassazione si era già espressa con le sentenze 26259/2005 e 12477/2004
Il genitore separato non è obbligato a versare il mantenimento al figlio maggiorenne, al quale è scaduto il contratto di lavoro a tempo determinato o che comunque è un precario.
L’inversione di rotta rispetto a una giurisprudenza degli ultimi anni che sembrava ormai aver “condannato” mamma e papà a mantenere i figli trentenni l’ha segnata la prima sezione civile della Corte di cassazione che, con la sentenza n. 23590 del 22 novembre 2010, ha respinto il ricorso di una donna che si era rivolta ai giudici, fra l’altro, per ottenere l’assegno in favore del figlio ventenne al quale era scaduto il contratto di lavoro a tempo determinato.
La Cassazione ha quindi affermato che “il diritto del coniuge separato di ottenere dall’altro coniuge un assegno per il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, ancorché allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di un’adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento da parte del genitore, senza che assuma rilievo il sopravvenire di circostanze ulteriori le quali, se pur determinano l’effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti siano già venuti meno”.
Fonte: www.cassazione.net