Cassazione n. 7504/11 – Ribadisce i requisiti necessari per occuparsi di un minore
Come è regolato l’affido familiare. L’affido familiare è un servizio previsto dalla legge che si rivolge a bambini e ragazzi fino ai 18 anni, momentaneamente privi di cure adeguate, che vengono affidati per un periodo di tempo a una famiglia affidataria.
L’unico requisito essenziale per accogliere un minore è che l’intero nucleo familiare, figli compresi, abbia nella propria casa o nella propria vita spazio e disponibilità ad accompagnarlo in un percorso di crescita sereno ed equilibrato, al termine del quale il minore deve fare nuovamente ritorno nella famiglia di origine. L’affidamento familiare è regolamentato dalla legge 184 del 4 maggio 1983, modificata con la legge n. 149 del 28 marzo 2001: l’obiettivo è assicurare al minore una famiglia che lo accudisca qualora la sua non sia temporaneamente in grado di farlo. Per soddisfare i suoi bisogni e la sua tutela, viene scelto un ambiente idoneo in cui crescere ed essere tutelato per il tempo necessario alla famiglia a recuperare le “capacità genitoriali”.
Quando intervengono i nonni. L’affido a terze persone viene deciso dal giudice quando quello più “tradizionale” a uno o all’altro genitore (oppure in forma congiunta) non sia nell’interesse del minore. A quel punto, viene disposto l’affidamento presso terzi, che non coincide necessariamente con un allontanamento dai genitori naturali, ma con il suo inserimento in una realtà serena, in cui possa fronteggiare le problematiche che derivano dalla crisi coniugale dei genitori o da altre situazioni di disagio. La prima soluzione che viene presa in considerazione è l’affidamento a stretti parenti del minore, come i nonni e gli zii, considerati come l’ambiente più armonioso per l’assistenza dei nipoti. Solo nel caso in cui queste strade non siano praticabili, viene preso in considerazione l’affidamento presso un istituto di educazione o altra famiglia.
Come si arriva all’affido. La legge 54 del 2006 ha rivoluzionato il sistema giudiziario nel campo delle separazioni coniugali e degli affidi dei minori, introducendo l’affido condiviso. Il principio su cui si fonda è quello della bigenitorialità, che sancisce il diritto dei minori a conservare un rapporto continuativo ed equilibrato con entrambi i genitori anche a seguito della separazione. Questo significa che mamma e papà devono ambedue provvedere a cure, educazione e istruzione dei propri figli, nell’obiettivo di mantenere un contesto non conflittuale e positivo per la loro crescita e il loro sviluppo. Allo stesso modo hanno diritto a conservare rapporti significativi anche gli ascendenti e i parenti di ciascun ramo genitoriale. Mentre l’affidamento esclusivo si ha solo quando sussiste l’idoneità di uno dei due a svolgere correttamente il proprio ruolo di padre o di madre, l’affidamento condiviso non esclude comunque la possibilità di un collocamento del minore presso terzi, nel caso in cui sussistano “gravi motivi”.
Questa soluzione viene adottata solo quando entrambi i genitori dimostrino un’assoluta inidoneità a svolgere il loro ruolo e quando l’allontanamento si renda necessario per assicurare una corretta formazione personalità da parte del minore. Il collocamento presso una famiglia viene generalmente preferito al ricovero presso un istituto di educazione: prima si valutano i parenti stretti, con cui il minore abbia un rapporto significativo. In assenza di una persona idonea nella parentela, il giudice può rivolgersi ai servizi sociali.
·Giulia Ventura