Sentenza corte di strasburgo mai diffusa
Legge 4 maggio 1983, n. 184 come modificata dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476 Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori, nasce allo scadere della ottava legislatura (VIII legislatura) dove la coalizione di maggioranza parlamentare era formata dai partiti DC – PSI – PSDI – PLI, il Presidente del Consiglio era l’On. Amintore fanfani (DC) ed il partito di maggioranza della coalizione era la DC. – Il giorno 8 luglio 1998 La Corte Europea di Strasburgo riunisce in un unico ricorso i ricorsi presentati dalle cittadine Dolorata Scozzari e Carmela Giunta le quali adirono la Corte per le vessazioni subite dalle istituzioni italiane dopo l’allontanamento dei figli della prima ricorrente e nipoti della seconda ricorrente per mezzo del Tribunale per i Minorenni. – Il giorno 13 luglio 2000 la Corte condanna lo Stato italiano al risarcimento di circa 200.000.000 delle vecchie lire da liquidarsi entro tre mesi a favore della prima ricorrente (NOTIZIA MAI DIVULGATA DAI MEDIA ) http://www.dirittiuomo.it/Corte%20Europea/Italia/2002/Scozzari.htm
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo CASO SCOZZARI e GIUNTA contro ITALIA SENTENZA del 13 luglio 2000 Ricorso n° 39221/98 et 41963/98
La sentenza così motiva (traduzione non ufficiale a cura di Maria Antonia Lorusso)
GRANDE CAMERA Sentenza del 13 luglio 2000 sul ricorso n° 39221/98 e 41963/98 presentato da SCOZZARI E GIUNTA contro l’ Italia Nel caso SCOZZARI e GIUNTA c. Italia, La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, riunita nella Grande Camera composta dai seguenti giudici : Sign. L. Wildhaber, presidente, Signori J.-P. Costa, L. Ferrari Bravo, Gaukur Jörundsson, L. Caflisch, I. Cabral Barreto, W. Fuhrmann, K. Jungwiert, M. Fischbach, B. Zupančič, Signora N. Vajić, Sign. J. Hedigan, Signora M. Tsatsa-Nikolovska, Signori T. Panţîru, E. Levits, K. Traja, giudici ; C. Russo, giudice ad hoc ; e dal Sign. M. de Salvia, cancelliere, Dopo aver deliberato in camera di consiglio il 26 gennaio 2000 e il 5 luglio 2000, Pronuncia la seguente sentenza , adottata in tale ultima data : PROCEDURA 1. Il caso è stato deferito alla Corte, in conformità delle disposizioni che si applicavano prima dell’entrata in vigore del Protocolllo n° 11 aggiuntivo alla Convenzione di salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (« la Convenzione »), dalla Commissione europea dei Diritti dell’Uomo (« la Commissione »), e dal governo italiano (« il Governo »), rispettivamente il 4 dicembre 1998 e il 21 gennaio 1999 (articolo 5 § 4 del Protocollo n° 11 e vecchi articoli 47 e 48 della Convenzione). 2. Il caso ha origine da due ricorsi (n. 39221/98 e n. 41963/98 –riuniti) proposti contro l’Italia. La prima ricorrente, signora Dolorata Scozzari, cittadina belga e italiana residente attualmente a Figline Valdarno, agisce anche a nome dei figli, G., nato nel 1987 e avente la doppia nationalità italiana e belga, e M., nato nel 1994 e avente la nazionalità italiana. La seconda ricorrente, signora Carmela Giunta, è una cittadina italiana nata nel 1939 e residente a Bruxelles. Dalla fine del 1998 ha anche una residenza in Italia. Ella è la madre della prima ricorrente. 3. La prima ricorrente aveva investito la Commissione europea dei Diritti dell’Uomo del primo ricorso il 9 dicembre 1997, in virtù del vecchio articolo 25 della Convenzione. La prima e la seconda ricorrente hanno poi investito la Commissione del secondo ricorso il 16 giugno 1998 (i due ricorsi sono stati riuniti l’ 8 luglio 1998). 4. La prima ricorrente allegava la violazione dell’articolo 8 della Convenzione a causa della decisione del tribunale per i minorenni di Firenze d’interrompere ogni relazione tra lei e i suoi figli e di collocare questi presso la comunità « Il Forteto », come anche a causa dell’impossibilità di incontrare il figlio minore. La seconda ricorrente allegava, quanto a lei, la violazione dell’articolo 8 della Convenzione per il fatto che non era mai stata presa in considerazione la possibilità di affidarle i bambini. Le ricorrenti lamentavano anche la violazione degli articoli 6 § 1 e 14 della Convenzione a causa, rispettivamente, dei ritardi nell’esame dei loro ricorsi e di un sedicente trattamento discriminatorio. Infine, la prima ricorrente allegava la violazione dell’ articolo 3 della Convenzione, a causa dei sedicenti trattamenti inumani inflitti ai bambini all’interno della comunità, e dell’articolo 2 del Protocollo addizionale n° 1, in relazione a una pretesa insufficiente scolarizzazione dei bambini. 5. Il 10 marzo 1998 la Commissione ha dichiarato irricevibile una parte del primo ricorso (n° 39221/98). Il 15 settembre 1998, ha accolto il secondo ricorso (n° 41963/98) e il surplus del primo ricorso. Nel suo rapporto del 2 dicembre 1998 (vecchio articolo 31 della Convenzione), la Commisione formula il parere che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione quanto alla sospensione della potestà genitoriale della prima ricorrente e dell’allontanamento dei suoi bambini (24 voti contro 1) ; che non vi è stata violazione dell’articolo 8 quanto alla sistemazione dei bambini presso la comunità « Il Forteto » (13 voti contro 12) ; che vi è stata violazione dell’articolo 8 a causa dell’interruzione di ogni contatto tra la prima ricorrente e i suoi bambini, ivi compresa la sospensione degli incontri programmati tra la prima ricorrente e il minore dei suoi bambini (21 voti contro 4). La Commissione formula inoltre, all’unanimità, il parere : che non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione per ciò che concerne la seconda ricorrente; che non vi è stata violazione degli articoli 3 della Convenzione e 2 del Protocollo addizionale n° 1 ; che nessuna diversa questione si pone riguardo agli articoli 6 § 1 e 14 della Convenzione. Il testo integrale del suo parere e delle opinioni dissenzienti che lo accompagnano figura in allegato alla presente sentenza. 6. Davanti alla Corte, le ricorrenti sono rappresentate dall’avv. Annamaria Mazzarri, avvocato del foro di Livorno. Il governo italiano è rappresentato dal suo agente, sign. Umberto Leanza, capo del servizio del Contenzioso Diplomatico al Ministero degli Affari Esteri, in qualità d’agente, assistito dal sign. Vitaliano Esposito, co-agente del governo italiano presso la Corte europea dei Diritti dell’Uomo. 7. Il 3 febbraio 1999, il collegio della Grande Camera ha stabilito che il caso dovesse essere esaminato dalla Grande Camera (articolo 100 § 1 del regolamento). Il sign. B. Conforti, giudice eletto per l’Italia, che aveva preso parte all’esame della causa in seno alla Commissione, si è dimesso (articolo 28). Di conseguenza, il governo convenuto ha designato il sign. C. Russo per siedere in qualità di giudice ad hoc (articoli 27 § 2 della Convenzione e 29 § 1 del regolamento). 8. Le ricorrenti hanno depositato delle memorie il 3 marzo, il 16 luglio e il 22 settembre 1999, il governo convenuto il 9 dicembre 1998, il primo marzo, il 6 e 10 aprile, il 5 e 19 luglio e il 10 settembre 1999. Sono state ricevute anche le osservazioni del governo belga, che aveva esercitato il suo diritto d’intervenire (articoli 36 § 1 della Convenzione e 61 § 2 del regolamento). 9. Un’udienza si è svolta a porte chiuse al Palazzo dei Diritti dell’Uomo, a Strasburgo, il 26 gennaio 2000. Sono comparsi : – per il governo italiano Sign. Vitaliano Esposito, magistrato distaccato al servizio del Contenzioso diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, co-agente ; – per le ricorrenti Avv. Annamaria Mazzarri, consulente, Signore Dolorata Scozzari, Carmela Giunta, ricorrenti; – per il governo belga Avv. Annick Davis, Avv. Muriel Gillet, consulenti. La Corte ha ascoltato le loro dichiarazioni. 10. L’ 8 marzo 2000, la Corte ha esaminato le registrazioni video e sonore relative agli incontri del 29 aprile e del 9 settembre 1999, presentate il 2 febbraio 2000 dal governo convenuto. La Corte ha ritenuto che il caso fosse istruito e che non fosse necessario dare seguito alle altre domande delle parti e del governo belga in vista di un supplemento d’istruzione. IN FATTO I. LE CIRCOSTANze DEl caso A. Avvenimenti che hanno condotto le autorità ad intervenire nella vita familiare della prima ricorrente 11. La prima ricorrente conobbe N.A., il padre dei suoi figli, in Belgio, mentre questi era in carcere. N.A. era stato condannato il 17 febbraio 1984 ai lavori forzati a vita in particolare per fatti di furto con violenza e per tentato omicidio. In passato era già stato condannato, tra l’altro, per furto, atti osceni in presenza di un fanciullo minore degli anni 15 e violenza sessuale su un fanciullo minore degli anni 14, ma maggiore degli anni 10 (per questi due ultimi delitti aveva ottenuto la grazia con estinzione della pena della reclusione). La pena dei lavori forzati a vita , in seguito, fu commutata in una pena a 27 anni di lavori forzati in virtù della grazia accordata nel 1991. 12. Mentre N.A. era ancora in carcere nacque il primo figlio . La ricorrente e N.A. si sposarono successivamente. A una data non precisata del 1993, N.A. non rientrò nell’ istituto penitenziario e, da allora, è ricercato dalle autorità belghe. Di fatto, N.A. e la prima ricorrente erano partiti per l’Italia con il loro figlio. 13. Nel febbraio del 1994 nacque il secondo figlio. Tuttavia, la situazione familiare aveva cominciato a deteriorarsi. Le controversie tra i genitori si intensificarono e sfociarono in episodi di violenza in danno della prima ricorrente, che, in seguito, sporse denuncia contro suo marito (l’esito di questo procedimento non è conosciuto). 14. Nel frattempo, M.L., un educatore che lavorava per i servizi sociali della provincia di Firenze, aveva stabilito delle buone relazioni con la famiglia della prima ricorrente. Ex tossicodipendente al quale era stato affidato il controllo di vari bambini provenienti da famiglie difficili e collocati in istituti, egli si offrì di occuparsi gratuitamente del figlio maggiore della prima ricorrente durante i fine settimana. Questa accettò l’offerta, tenuto conto del fatto che i due genitori lavoravano, della necessità di occuparsi del nuovo nato, come anche dell’impossibilità di beneficiare di un controllo gratuito da parte dei servizi sociali pubblici durante i fine settimana. 15. Poco dopo, il figlio maggiore manifestò dei problemi di salute. La prima ricorrente lo accompagnò all’ospedale più volte, ma questi disturbi, inizialmente, furono attribuiti ad una alimentazione inadeguata. 16. Nel novembre del 1996, la prima ricorrente si oppose al proseguimento delle visite di M.L. Quest’ultimo, allora, cominciò a vedere il bambino al domicilio della prima ricorrente e unicamente in presenza dei suoi genitori. La prima ricorrente tentò di porre fine ai rapporti tra M.L e suo figlio, ma quest’ultimo ebbe delle crisi in seguito a questa rottura e tentò di frequentare M.L. all’insaputa dei suoi genitori. 17. Poco dopo, il bambino fece cenno ad un amico di famiglia di «giochi particolari » ai quali M.L. l’aveva fatto partecipare più volte. Essendo stata messa al corrente di questa confessione del bambino, la prima ricorrente e suo marito allora presentarono formale denuncia alla polizia il 2 febbraio 1997. 18. Fu aperta un’ inchiesta. Gli investigatori scoprirono rapidamente vari elementi che dimostravano che in realtà M.L. era al centro di una rete di pedofilia. In particolare, egli era accusato di avere abusato sessualmente di parecchi bambini a partire dal 1986, approfittando dei suoi legami di collaborazione con i servizi sociali e delle sue funzioni di educatore (alcune delle presunte vittime erano collocate in istituti e una di queste gli era stata affidata anche dal tribunale per i minorenni di Palermo). M.L. era anche accusato di avere rivenduto delle foto scattate durante gli incontri sessuali nei quali erano coinvolti dei bambini, compreso anche il figlio maggiore della prima ricorrente, e di avere gestito un traffico di stupefacenti. 19. Il 6 giugno 1997, il giudice per le indagini preliminari ordinò l’arresto di M.L. Il giudice evidenziò il fatto che quegli, ex tossicomane, aveva finto di volersi riscattare e, con questa astuzia, era riuscito a infiltrarsi nelle istituzioni pubbliche demandate alla protezione dei bambini e aveva approfittato della custodia dei bambini che gli erano stati affidati sia dai privati che dalle autorità pubbliche. Al termine del processo di primo grado, M.L. fu condannato. 20. Nel frattempo, i servizi sociali cominciarono a seguire più da vicino la situazione della famiglia della prima ricorrente. In un rapporto del 30 gennaio 1997, l’assistente sociale incaricato del caso, signora S.G., sottolineò la grave situazione conflittuale tra i genitori (nel corso dell’estate dell’anno precedente, la prima ricorrente si era rivolta a diverse autorità per denunciare la situazione) e la difficoltà di cooperare efficacemente con questi. Un secondo rapporto del 7 febbraio 1997 mostrava il deterioramento della situazione. Peraltro, la signora S.G. riferì che il minore dei bambini frequentava irregolarmente l’asilo a causa di problemi di salute non gravi, mentre il maggiore veniva descritto dagli insegnanti come un bambino intelligente e molto attivo. 21. Il 25 febbraio 1997, il tribunale per i minorenni di Firenze ordinò la collocazione dei bambini e della madre in un istituto scelto dai servizi sociali. Il tribunale si riferì in particolare alla denuncia concernente i sedicenti abusi sessuali subiti dal figlio maggiore della prima ricorrente. 22. In un rapporto del 12 marzo 1997, i servizi sociali segnalarono la difficoltà di trovare un istituto disposto ad accogliere sia i bambini che la madre. Daltronde, questa rifiutava ogni separazione dai bambini e il maggiore aveva dichiarato di volere restare con lei. Tutti e tre furono alloggiati provvisoriamente presso una casa d’accoglienza dell’associazione « Caritas ». Su iniziativa della prima ricorrente, i bambini ricominciarono a frequentare la scuola. Nello stesso rapporto, i servizi sociali descrissero la prima ricorrente come persona instabile e fragile. 23. Nel marzo del 1997, i servizi sociali dichiararono l’impossibilità per l’associazione « Caritas » di continuare ad accogliere la prima ricorrente. D’altronde, essi indicarono che questa sembrava incapace di seguire un adeguato programma di protezione dei bambini e vi erano dei dubbi quanto alle sue effettive capacità di occuparsene. Inoltre, ella aveva continuato a frequentare un uomo all’esterno , come pure all’interno dell’istituto, e aveva manifestato la volontà di ritornare a casa sua, dato che il marito non l’aveva, secondo lei, più picchiata. 24. Un rapporto di una neuropsichiatra della Unità Sanitaria Locale, datato 9 giugno 1997, sottolineò che la prima ricorrente sembrava presentare delle turbe della personalità. I passaggi pertinenti si possono leggere qui di seguito : « (…) La signora non sembra in grado di esaminare la realtà e trarne un comportamento adeguato. Sembra molto confusa sia quanto al modo di riferire le cose che quanto agli atti sprovvisti di razionalità. E’ incapace di discernere ciò che è bene e ciò che è male per il bambino e, dunque, incapace di proteggerlo ; alterna dei momenti in cui sembra molto infantile, in funzione della immagine idealizzata della madre, e dei momenti in cui colloca G. in un ruolo d’adulto con dei tratti di seduzione e una sottile perversione. Posso concludere che la Signora presenta un disturbo della personalità serio che concerne talora la sfera della conoscenza e della ideazione, talora la sfera emozionale e relazionale, e si potrebbe avanzare l’ipotesi di un quadro clinico del genere « border-line ». Nello stato attuale, la Signora si mostra incapace di gestire la situazione estremamente complessa della sua famiglia e quella molto delicata di G., e ancora di più di costruire un ambiente sufficientemente positivo intorno a lui. » 25. Un rapporto dell’istituto scolastico frequentato dal maggiore dei bambini, datato 10 giugno 1997, annotò una agitazione crescente del bambino. Quanto alla prima ricorrente, questo rapporto dichiarava che ella manifestava un atteggiamento assai mutevole sia verso i figli, sia verso il personale della scuola, ora aggressivo, ora premuroso. Secondo la scuola, era stato molto difficile instaurare un dialogo costruttivo con lei. Una relazione dell’assistente sociale, con data del giorno successivo, confermò le difficoltà crescenti del figlio maggiore. 26. Il 22 luglio 1997, il tribunale per i minorenni ordinò la collocazione del figlio maggiore in un altro istituto. I genitori si opposero a questa decisione il 30 luglio 1997. Con una ordinanza dell’ 8 agosto 1997, il tribunale precisò che questa sistemazione doveva limitarsi a tre mesi e aveva come scopo quello di osservare il comportamento del bambino. Tuttavia, il bambino si mostrò scontento di questa soluzione. Durante questa permanenza, egli fuggì e ritornò a casa sua. Ciononostante, i servizi sociali insistetterò affinchè egli restasse presso l’istituto. 27. Una perizia medica privata, depositata in quel periodo, sottolineò che il bambino, che era terrorizzato dal prete incaricato della direzione dell’ istituto, aveva bisogno di un ambiente sereno e non di essere circondato da altri bambini con un passato tragico come il suo. 28. Intanto il figlio minore era stato trasferito in un altro istituto. 29. L’ 8 settembre 1997, al termine di una riunione alla quale presero parte, in particolare, gli assistenti sociali e gli specialisti che avevano seguito la prima ricorrente e i suoi figli, i responsabili dei servizi sociali competenti conclusero sulla necessità di allontanare i bambini dalla loro famiglia naturale e raccomandarono di collocarli presso la comunità « Il Forteto », organizzata sotto forma di cooperativa agricola. 30. Il 9 settembre 1997, il tribunale per i minorenni di Firenze ordinò la collocazione dei due bambini presso « Il Forteto », in applicazione dell’ articolo 333 del codice civile (Condotta del genitore pregiudizievole ai figli), sospese la potestà genitoriale del padre e della madre, in applicazione dell’articolo 330 del codice civile (Decadenza dalla potestà sui figli ), ordinò che in caso di opposizione dei genitori, la decisione fosse eseguita con l’aiuto della forza pubblica, autorizzando i genitori a fare visita solo al figlio minore, nei locali della cooperativa ed in presenza del suo personale. Il tribunale, in particolare, sottolineò la mancanza di collaborazione da parte dei genitori , che avevano, in una occasione, tolto il maggiore dei bambini dall’istituto in cui si trovava precedentemente nonostante l’opposizione dei responsabili. Il tribunale, inoltre, rimproverò ai genitori di avere esposto per lungo tempo il maggiore dei loro bambini alla situazione tragica della quale era stato la vittima, senza esercitare la sorveglianza alla quale erano tenuti come genitori e senza notare i segnali d’allarme manifestati dal bambino, che, al contrario, non erano sfuggiti al personale della scuola, che aveva invano cercato di instaurare un dialogo con la famiglia. Infine, il tribunale ordinò ai servizi sociali di seguire da vicino la situazione dei bambini e di elaborare, a partire dai risultati di questa osservazione, un progetto di rieducazione. B. Elementi relativi alla comunità « Il Forteto » 31. Risulta dal fascicolo di causa che la cooperativa in questione fu oggetto, alla fine degli anni ‘70, di una inchiesta penale in relazione a tre dei suoi fondatori, per supposti atti di zoofilia e pedofilia commessi all’interno della cooperativa. Due di queste persone, L.R.F. e L.G., furono arrestate, poi rimesse in libertà, ma , nondimeno rinviate a giudizio. 32. Con una sentenza della corte di appello di Firenze del 3 gennaio 1985, L.R.F. e L.G. furono condannati segnatamente per maltrattamenti e abusi sessuali su persone accolte nella comunità (essi furono, peraltro, prosciolti dagli altri capi di imputazione per insufficienza di prove). La corte di appello ritenne opportuno esaminare gli elementi a carico degli accusati alla luce del contesto del Forteto, dal quale risultava sia una istigazione da parte dei suoi responsabili alla rottura dei rapporti tra i bambini che erano affidati loro e i loro genitori biologici, sia una pratica diffusa di omosessualità. La corte dichiarò L.R.F. e L.G. colpevoli in particolare per i seguenti capi (la condanna si basava tra l’altro sulle testimonianze e sulle parziali confessioni degli imputati) : – entrambi per avere maltrattato una ragazza handicappata di diciotto anni che avava soggiornato per qualche giorno nella comunità, in particolare picchiandola più volte al giorno, insultandola anche in presenza di altre persone, impedendole di comunicare con l’esterno, umiliandola a causa delle sue caratteristiche fisiche; quanto a L.R.F., la corte stabilì anche che questi aveva sputato sul viso della ragazza e, per disprezzo, le aveva mostrato il suo organo sessuale ; – L.R.F. anche per avere abusato sessualmente (atti di libidine violenti) di due handicappati mentali di sesso maschile, in una occasione in presenza di un tredicenne. 33. Il primo fu condannato ad una pena di due anni di reclusione e il secondo ad una pena di dieci mesi di reclusione . Comunque ottennero la condizionale e la sospensione dell’interdizione dai pubblici uffici. Inoltre furono amnistiati per il delitto di usurpazione di titolo , di cui erano stati accusati per essersi arrogati il titolo di psicologi diplomati presso le università di Berna e Zurigo. 34. Il loro ricorso in cassazione fu respinto l’ 8 maggio 1985. 35. Questi due uomini fanno sempre parte del personale che lavora per la cooperativa. Inoltre, uno dei due, L.R.F., ha preso parte alla riunione summenzionata dell’ 8 settembre 1997, al termine della quale i servizi sociali competenti raccomandarono al tribunale per i minorenni di Firenze di collocare i figli della prima ricorrente presso la comunità in questione. Secondo le ultime informazioni di cui dispone la Corte, L.R.F. ne sarebbe attualmente il presidente. 36. Si evince anche dal fascicolo di causa , in particolare da uno dei libri pubblicati sulla comunità (Ritratti di famiglia, Firenze, 1997), che alcune delle persone che lavorano nella comunità, o che vi sono accolte, provengono da famiglie con problemi e hanno subito nel loro passato violenze di natura pedofila. 37. A sostegno delle sue affermazioni, la prima ricorrente ha anche presentato varie testimonianze scritte: per iniziare quella di tre persone, che hanno declinato la loro identità, di cui rispettivamente la nipote, la sorella e la figlia erano state accolte, per diverse ragioni, nella comunità in causa. Di seguito alcuni estratti pertinenti. 38. Testimonianza n° 1 : « (…) la ragazzina mi ha riconosciuto e mi si è avvicinata, un signore che si trovava al suo fianco l’ha bloccata, si è avvicinato a noi intimandoci di andare via (…). Sono andata al Forteto un’altra volta nel 1997 (…). Ho tentato più volte e ho sempre avuto delle risposte negative 39. Testimonianza n° 2 : « (…) la ragazze che frequentavano Il Forteto erano denutrite e prostrate e mia sorella era una di loro ; quando è ritornata da sua madre, non parlava e le sue idee non si concatenavano ; con mia madre, abbiamo dovuto nutrirla con il cucchiaino per diversi mesi (…) ». 40. Testimonianza n° 3 : « (…) nel maggio del 1991, una sera tardi in presenza di altri membri della famiglia, lei era così spaventata da non riuscire neppure a spiegare la situazione e non smetteva di dire che non voleva più tornare al Forteto. Questo ci fece capire che in quel momento stavano succedendo dei fatti gravi al Forteto. Ella dovette ritornarci perché essi la minacciavano (…). In passato è stata picchiata da (…) G. (…) L. (…) per non avere partecipato ad alcuni atti di violenza che lei rifiutava (…). Sono pronta a testimoniare davanti alla Corte europea. » 41. La parte ricorrente ha presentato anche altre due testimonianze scritte e firmate. 42. La prima di queste proveniva da una consigliera municipale di un paese della provincia. Questa persona ha affermato che il tutore dei bambini, che già conosceva e al quale si era rivolta per avere delle informazioni riguardanti il caso, le aveva consigliato di non immischiarsi. Peraltro, secondo la sua testimonianza, la stessa consigliera municipale fu invitata da L.R.F. a visitare la cooperativa a seguito dei dubbi che ella aveva espresso pubblicamente durante una manifestazione per la presentazione di uno dei libri pubblicati sulla comunità. Nonostante il desiderio, che aveva espresso più volte, di incontrare i bambini, questa possibilità le era stata costantemente rifiutata per vari motivi. 43. La seconda testimonianza proviene da due esperti nominati d’ufficio che lavorano per il tribunale per i minorenni di Firenze e che hanno seguito in parte il caso dei figli della prima ricorrente. Secondo questa testimonianza, questi due esperti, rispettivamente neurologo e psichiatra ed entrambi amministratori di un centro medico di terapia familiare ubicato a Firenze, avrebbero domandato al Forteto di permettere a degli stagisti del centro di frequentare o solo di visitare la comunità. A questa richiesta sarebbe stato sempre opposto un rifiuto per motivi che gli esperti in questione giudicano « assurdi » come, per esempio, il fatto che la comunità non è una struttura pubblica. Uno studente del centro, che frequentava un corso di formazione riconosciuto dalla Regione Toscana nel 1996-1997, era tuttavia riuscito a visitare la comunità durante i suoi studi. In questa occasione avrebbe saputo da un responsabile della comunità che le famiglie che avevano in affido i bambini non erano per forza le stesse che erano state designate formalmente dall’autorità giudiziaria. 44. La parte ricorrente si riferisce anche ad alcuni brani estratti da uno dei libri pubblicati sulla comunità (Il Forteto, Firenze, 1998). 45. Ella cita, tra gli altri, i seguenti brani a proposito della situazione problematica di alcuni adulti presenti nella casa: « Quindi ciascuno decise di vivere con gli altri una esperienza comune che li arricchiva e che risolveva la povertà affettiva che l’aveva motivata » (p. 94). «Così ogni membro trovò e trova, realizzando questa esperienza, quel senso di appartenenza, di coesione e d’amore che altrove, nella famiglia di origine, gli è mancato. » (p. 95). 46. La parte ricorrente cita anche il brano seguente, che si riferisce alle autorità coinvolte nel procedimento penale diretto contro alcuni responsabili della comunità: « Molti anni sono passati e il caso si è andato chiarendo man mano che si raccoglievano le prove delle macchinazioni ordite contro di loro, che ancora oggi sono conservate nella villa. Anche in quello manifestano uno spirito cristiano che, francamente, invidio. Oggi potrebbero facilmente iniziare una azione penale o di risarcimento anche nei confronti di alcuni magistrati, ma non lo fanno (…). In quel periodo, la magistratura tenne un comportamento scizzofrenico; mentre accusava il Forteto per il tramite della procura di Firenze, continuava ad affidare dei bambini a questa struttura per il tramite del tribunale dei minori. S (…) fu affidato a R (…) proprio in quel periodo. » (p. 31). C. L’interruzione dei contatti tra la prima ricorrente e i suoi figli fino alla decisione del tribunale per i minorenni di Firenze del 22 dicembre 1998 47. Nella comunità, i bambini furono affidati alla coppia designata dal tribunale nella sua ordinanza del 9 settembre 1997, cioè al sign. G.C. e alla signora M.G.. La parte ricorrente allega che nell’ottobre del 1997, il figlio maggiore della prima ricorrente, in età scolare, non era stato ancora scolarizzato. Effettivamente, l’iscrizione di questo bambino fu fatta il 23 ottobre 1997 e cominciò a frequentare i corsi il 4 novembre seguente. 48. Il 10 e il 14 ottobre 1997, rispettivamente il tutore dei bambini e il pubblico ministero chiesero al tribunale di sospendere temporaneamente la possibilità di incontri anche con il figlio minore. 49. Il 4 novembre 1997, la prima ricorrente si rivolse al giudice S. del tribunale per i minorenni, facendo presente che, dalla decisione del tribunale del 9 settembre 1997, ella non aveva più potuto vedere i figli. 50. In quella stessa data, il dipartimento di psicologia della Unità sanitaria locale attestava le buone condizioni psicologiche della prima ricorrente. 51. Il 18 novembre 1997, il tribunale constatò che gli incontri dei genitori con il figlio minore non erano ancora cominciati. Tenuto conto dei ricorsi depositati dal tutore e dal pubblico ministero, il tribunale incaricò il centro di neuropsichiatria infantile competente di verificare se la situazione era compatibile con una ripresa degli incontri con i genitori. 52. Il 25 novembre 1997, la prima ricorrente si rivolse al giudice tutelare per sollecitare l’esecuzione della decisione del tribunale quanto agli incontri con il figlio minore. 53. Altri tentativi della prima ricorrente di vedere suo figlio minore recandosi direttamente al « Forteto » furono vani. In seguito, le relazioni tra alcuni responsabili della comunità, che avevano in affido i figli della prima ricorrente , e quest’ultima si deteriorarono. I primi denunciarono la seconda, accusandola di averli minacciati e aggrediti verbalmente e fisicamente, con l’aiuto, almeno in un caso, del suo ex marito, con il quale, secondo i responsabili del « Forteto », lei era rimasta in realtà in contatto (una lettera inviata il 7 gennaio 1998 alla procura e al tribunale per i minorenni, che riferiva di questi incidenti, era firmata da L.G.). 54. Il 3 dicembre 1997, la prima ricorrente domandò al tribunale per i minorenni di revocare la sua decisione del 9 settembre 1997, dato che nel frattempo le circostanze di fatto erano cambiate. Ella faceva valere il fatto che si era appena separata dal marito. Peraltro, la prima ricorrente sottolineò che le case di accoglienza per minori presentavano spesso una realtà « ambigua ». 55. Il 7 dicembre 1997, la prima ricorrente si lamentò, sempre presso il tribunale per i minorenni, per i reiterati rifiuti del « Forteto » di lasciarle vedere il figlio minore e per il fatto che la comunità agiva in maniera autonoma rispetto alle decisioni giudiziarie. Chiese allora al tribunale di raccogliere le informazioni necessarie a verificare se la comunità in questione difendesse effettivamente gli interessi dei suoi figli o non piuttosto interessi privati. 56. Il 15 dicembre 1997 il maggiore dei bambini fu interrogato dal pubblico ministero alla presenza, secondo il verbale, del sign. G.C. e della signora M.C. in quanto coppia a cui il bambino era stato affidato. Tuttavia, una delle due persone, verosimilmente la signora M.C., firmò il verbale con il cognome di L.G. (paragrafo 114 qui di seguito). 57. Il 15 gennaio 1998, la prima ricorrente fu convocata dal giudice S. del tribunale per i minorenni. In questa occasione, ella attirò l’attenzione del giudice sui procedimenti penali di cui alcuni responsabili del « Forteto » erano stati oggetto in passato per abusi e violenze su persone accolte nella comunità. 58. In conseguenza dei ripetuti interventi della prima ricorrente, il tribunale per i minorenni di Firenze, con un’ordinanza del 6 marzo 1998, rilevò innanzitutto che, dai primi esami condotti dal centro competente di neuropsichiatria infantile, risultava che il figlio minore aveva manifestato delle aperture, mantenendo però un atteggiamento di rifiuto rispetto al suo passato e ai suoi genitori. In particolare, il bambino non aveva fatto riferimento a sua madre che a seguito dell’insistenza del personale del centro. Nell’osservare che il bambino sembrava sulla via di superare una prima fase particolarmente difficile del suo passato, il tribunale ritenne necessario che gli incontri tra la prima ricorrente e il figlio minore fossero preceduti da un lavoro di preparazione sia del bambino, da parte dei servizi sociali già incaricati di seguirlo, sia della madre, da parte del servizio di psicologia competente. Il tribunale decise anche che gli incontri sarebbero iniziati una volta terminato il lavoro di preparazione summenzionato e dal momento in cui il bambino si fosse mostrato pronto a riprendere le relazioni con la madre. Infine, il tribunale decise che gli incontri si svolgessero in presenza degli assistenti sociali competenti e che i servizi competenti l’informassero del momento in cui gli incontri sarebbero potuti cominciare, come anche della piega che avessero preso. 59. Il 30 marzo 1998, la prima ricorrente informò l’Ambasciata del Belgio in Italia del pericolo rappresentato dalla comunità e sollecitò un intervento delle autorità belghe. 60. Il 6 aprile 1998 ebbe luogo una perizia sul minore dei bambini. Quest’ultimo era accompagnato dal sign. M.S. e dalla signora M.G. in quanto genitori affidatari. 61. In seguito, il 21 aprile, il 19 maggio e il 9 giugno 1998 si svolsero gli incontri preparatori tra la prima ricorrente e i servizi sociali competenti. Inoltre, si tennero vari incontri tra un neuropsichiatra e i bambini, che furono anche sottoposti a delle sedute di logopedia. 62. Una riunione di tutti i servizi interessati si svolse poi, il 6 giugno 1998. Al suo termine furono fissati per l’8 e il 14 luglio 1998 due primi incontri, di un’ora ciascuno, tra la prima ricorrente e il figlio minore. Fu deciso che gli incontri si svolgessero in presenza di vari esperti tra cui una assistente sociale della zona nella quale si trovava il « Forteto » e incaricata di accompagnare il bambino. Questi avrebbero potuto seguire gli incontri da dietro uno specchio unidirezionale. 63. La prima ricorrente aveva chiesto che anche il suo avvocato fosse ammesso ad assistere agli incontri e aveva informato il tribunale per i minorenni di questa richiesta. Tuttavia questa possibilità le fu rifiutata, a motivo che la presenza di persone ulteriori rispetto a quelle incaricate non era stato previsto e, inoltre, che , trattandosi di una struttura terapeutica, era opportuno limitare la partecipazione ai soli esperti provenienti da strutture pubbliche. 64. Il 22 giugno 1998, la prima ricorrente , tuttavia, dichiarò che non era disposta a vedere il figlio minore senza poter vedere allo stesso tempo il maggiore, considerando la probabile sofferenza di quest’ultimo nell’ apprendere che solo suo fratello minore avrebbe potuto incontrare la madre. Il 25 giugno 1998, la signora C.C., psicologa dei servizi sociali, invitò la prima ricorrente a farle sapere se persisteva in questa decisione, avvertendola, nello stesso tempo, che in caso di mancata risposta, l’incontro sarebbe stato annullato. La prima ricorrente ritornò allora sulla sua decisione. 65. Il 29 giugno 1998, L.R.F., uno dei responsabili del « Forteto » condannato nel 1985, inviò una lettera al sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Firenze a proposito dei figli della prima ricorrente. In questa lettera, L.R.F. si esprimeva tra l’altro come segue : « (…)Noi non vogliamo che i bambini coltivino delle assenze che potrebbero diventare dei fantasmi interiori e, quindi, realizzare delle interruzioni brutali e irrevocabili degli incontri tra loro e i genitori, ma riteniamo molto importante il rinviare a tempi migliori una simile possibilità e il lasciare ai bambini degli spazi di tempo sufficienti al fine di assorbire queste immagini negative e colpevolizzanti che i genitori gli ricordano. (…) » 66. Il 2 luglio 1998, lo stesso sostituto procuratore della Repubblica informò il tribunale per i minorenni di Firenze che era stata appena aperta un’inchiesta nei confronti della prima ricorrente e del suo ex marito, sospettati di essere responsabili di abusi sulla persona del loro bambini. Il sostituto procuratore attirò l’attenzione del tribunale sul fatto che gli incontri programmati tra la prima ricorrente e il figlio minore, dei quali dichiarò di aver avuto conoscenza, potevano compromettere l’inchiesta, tenuto conto del fatto che una perizia, che si doveva svolgere durante tutto il mese di settembre 1998, era in corso al fine di determinare se questo bambino presentava dei sintomi di abusi sessuali. Infatti, secondo il sostituto procuratore, nel corso di recenti colloqui con un esperto, il bambino aveva cominciato a fare delle rivelazioni riferendosi ad alcuni episodi significativi in relazione all’accusa condotta contro il padre del bambino. Ora, secondo il sostituto procuratore, non era escluso che questa accusa potesse in seguito essere estesa anche alla madre. 67. Il 6 luglio 1998, il tribunale per i minorenni decise di sospendere provvisoriamente gli incontri previsti per l’8 e il 14 luglio seguenti, nell’attesa del risultato di questa nuova inchiesta. Infatti, il tribunale considerò che questi incontri avrebbero potuto ostacolare l’inchiesta , tenuto anche conto del fatto che, nell’ambito di quest’ultima, era stata appena ordinata una perizia psicologica del figlio minore. 68. Il 14 luglio 1998 , il maggiore dei bambini fu interrogato. In questa occasione erano di nuovo presenti, in quanto « genitori affidatari », il sign. G.C. e la signora M.C. 69. In una nota del 31 ottobre 1998 , la Procura ripetè la necessità di ascoltare i bambini nell’ambito dell’inchiesta summenzionata, come pure l’opportunità di mettere i bambini al riparo da eventuali comportamenti intimidatori da parte dei genitori, suscettibili di compromettere la serenità che i bambini avevano appena riscoperto e i risultati delle future audizioni. In questa stessa nota, la procura fece sapere che avrebbe ascoltato nel più breve tempo possibile i bambini a proposito degli elementi che scaturivano dalla perizia psicologica e che questi sarebbero stati comunicati al tribunale per i minorenni dopo la rimozione del segreto istruttorio ancora in vigore. 70. Peraltro, una relazione dell’ 11 novembre 1998, proveniente dal neuropsichiatra, R.L., incaricato di seguire i bambini, precisò che un programma destinato ad aiutare questi ultimi a entrare di nuovo in relazione con i genitori era in corso di preparazione all’interno della famiglia affidataria. D. Le pratiche intraprese dalla seconda ricorrente 71. Il 14 ottobre 1997, la seconda ricorrente presentò un primo ricorso al fine di ottenere la custodia dei bambini. 72. Il 4 marzo 1998, chiese di essere autorizzata almeno a vedere i bambini due volte a settimana. 73. Il 15 maggio 1998, rinnovò davanti al tribunale dei minori la sua domanda al fine di ottenere l’autorizzazione a vedere i bambini. In questa occasione, precisò che non vedeva i bambini dal giugno 1997 e che aveva avuto conoscenza indiretta (de relato) degli eventi che avevano indotto il tribunale a collocare i bambini in una comunità. 74. Al termine dell’udienza del 12 giugno 1998, alla quale partecipò la seconda ricorrente, il tribunale per i minorenni di Firenze incaricò i servizi competenti di psicologia e di neuropsichiatria per i minori di preparare sia i bambini che la loro nonna, che secondo il tribunale aveva manifestato un interesse concreto alla ripresa delle relazioni con i bambini, prima dell’inizio degli incontri. Questa aveva peraltro indicato, in quella stessa occasione, di essere disposta a seguire il programma di preparazione stabilito dai servizi ai quali il tribunale aveva affidato questo compito. 75. In seguito, tuttavia, la seconda ricorrente presentò ricorso contro questa decisione, domandando in via principale la custodia dei bambini e, in via accessoria, l’autorizzazione a vedere i bambini almeno due volte a settimana indipendentemente da ogni preparazione, che lei non poteva, comunque, seguire essendo impossibilitata a soggiornare in Italia. A sostegno della sua domanda, ella addusse, in particolare, il fatto che il suo ricorso presentato nell’ottobre del 1997 non era stato ancora esaminato e fece presente, inoltre, che il figlio maggiore in passato le era già stato affidato. 76. Il 6 luglio 1998, il tribunale rigettò il ricorso. Ritenne , in particolare, che non si capiva per quale motivo la seconda ricorrente non potesse soggiornare in Italia per seguire il programma di preparazione degli specialisti considerando soprattutto la sua richiesta di fare visita ai bambini almeno due volte a settimana, ciò che avrebbe comportato, inevitabilmente, l’obbligo di recarsi spesso in Italia. Il tribunale considerò, peraltro, che una preparazione era indispensabile se si considerava la gravità degli avvenimenti che avevano seriamente segnato i bambini e la necessità di non compromettere il delicato lavoro di recupero iniziato dagli specialisti. Infine, secondo il tribunale l’allontanamento dei bambini dall’Italia avrebbe rischiato di nuocere al buono svolgimento dell’inchiesta penale in corso relativa alla eventuale responsabilità dei genitori. 77. Nel frattempo, il 19 giugno 1998, la seconda ricorrente aveva sollecitato presso un consolato belga in Italia una ispezione del « Forteto » da parte delle autorità diplomatiche belghe. Durante le loro visite i diplomatici belgi non riscontrarono nulla di anormale. 78. Il 15 luglio 1998, la seconda ricorrente chiese alle autorità belghe di sollecitare il trasferimento dei bambini in Belgio in virtù della convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961 sulla competenza delle autorità e la legge applicabile in materia di protezione dei minori. E. La decisione del tribunale per i minorenni di Firenze del 22 dicembre 1998 e lo svolgimento degli incontri tra la prima ricorrente e i suoi figli 79. Il 22 dicembre 1998, il tribunale per i minorenni di Firenze esaminò il ricorso della prima ricorrente del 3 dicembre 1997, il ricorso della seconda ricorrente del 14 ottobre 1997 e quello del tutore del 10 ottobre 1997. Il tribunale riconsiderò in primo luogo la sua decisione del 6 luglio 1998 e ordinò che cominciasse immediatamente un programma di preparazione degli incontri tra le due ricorrenti e i bambini, incontri che sarebbero dovuti iniziare al più tardi il 15 marzo 1999. Quanto alla seconda ricorrente, il tribunale ritenne che la sua recente sistemazione in Italia facilitava la attuazione di un programma di preparazione. Comunque confermò la sospensione della potestà genitoriale sui bambini e la collocazione di questi presso il « Forteto » : in effetti, la situazione familiare della prima ricorrente restava molto difficile, malgrado la separazione dal padre dei suoi figli, e questi ultimi si erano ben integrati nella comunità d’accoglienza. Infine, il tribunale prospettò anche una ripresa dei rapporti tra i bambini e il loro padre, che vi si era mostrato favorevole. Gli incontri con il padre non sarebbero potuti iniziare comunque prima del settembre 1999, tenuto conto della delicata posizione di questi nell’inchiesta penale in corso. 80. L’ 8 gennaio 1999, un giudice del tribunale per i minorenni informò il servizio sociale di Sesto Fiorentino che sarebbe stato incaricato di continuare il lavoro di preparazione degli incontri deciso dal tribunale il 22 dicembre 1998. Il tribunale sottolineò che la prima ricorrente aveva chiesto che gli incontri cominciassero. 81. Il 13 gennaio 1999, il servizio sociale di Sesto Fiorentino si dichiarò incompetente, tenuto conto del cambiamento di residenza della ricorrente e del fatto che l’assistente sociale che aveva seguito quest’ultima fino a quel momento era stata nel frattempo trasferita. 82. Il 4 febbraio 1999, il servizio sociale di Figline Valdarno designò l’ assistente competente a seguire la prima ricorrente. Al momento della sua audizione da parte del tribunale l’ 8 febbraio seguente, questa assistente ammise di non essere a conoscenza del caso, ma si dichiarò cosciente dell’urgenza della situazione e si impegnò a preparare la madre ad incontrare i suoi bambini nel termine fissato dal tribunale per il 15 marzo. 83. Il 9 febbraio 1999, l’assistente sociale di Vicchio (signora S.C.) e il neuropsichiatra infantile, R.L., incaricati del controllo dei figli della prima ricorrente, essendo stato già fissato per quel periodo un programma di incontri con i bambini e i genitori affidatari, espressero al tribunale i loro dubbi circa l’opportunità di chiedere loro di preparare anche il padre e la nonna dei bambini. Secondo questo servizio sociale, la vicinanza dei bambini avrebbe potuto creare delle tensioni, senza contare che il servizio non conosceva il padre e la nonna, di modo che si rivelava opportuno che questi fossero preparati dei servizi sociali del loro luogo di residenza. 84. Il 12 febbraio 1999, la responsabile del servizio sociale di Figline Valdarno attirò l’attenzione del tribunale sulle difficoltà che incontrava a procurarsi tutti i documenti pertinenti che riguardavano il caso. Dunque, propose al tribunale di convocare tutti gli esperti e gli assistenti sociali coinvolti. 85. Il 15 febbraio 1999, il tribunale rispose, in particolare, ai servizi sociali di Figline Valdarno e di Vicchio, informandoli che il procedimento giurisdizionale si era chiuso e che, a partire da quel momento, gli aspetti amministrativi e di organizzazione erano di competenza dei servizi sociali. Il tribunale inoltre attirò la loro attenzione sul tempo che era passato dalla sua decisione e sull’urgenza di dare a questa seguito. 86. Il 18 febbraio 1999, il servizio sociale di Figline Valdarno convocò tutti i servizi coinvolti. Il 25 febbraio 1999, il servizio sociale di Vicchio informò il tutore dei bambini che il lavoro di preparazione di questi ultimi era iniziato dalla metà di gennaio. 87. Il 2 marzo 1999, il maggiore dei bambini fece giungere una lettera al presidente del tribunale. In particolare dichiarò che non vedeva sua nonna da ormai quattro anni e che non riusciva a capire come mai questa volesse rivederlo. Quanto a sua madre, affermò che questa aveva sempre giustificato il comportamento degli « educatori », di cui, pur tuttavia, egli l’aveva messa al corrente. Solo dopo essere arrivato al « Forteto » egli aveva potuto rendersi conto di ciò che gli era accaduto, grazie alla signora M. e al sign. G., e aveva potuto comprendere cosa significasse avere una madre ed un padre. Per queste ragioni si augurava, per il momento, di non rivedere la madre ( il bambino firmò questa lettera con il cognome di una delle persone alle quali era stato formalmente affidato all’interno del « Forteto », prima di apporre anche il suo). 88. L’8 marzo 1999, la Unità Sanitaria Locale di Firenze informò il tribunale che la ripartizione delle differenti competenze era stata effettuata. Tuttavia, non era possibile prevedere la data d’inizio degli incontri, poiché G. aveva manifestato delle esitazioni a rivedere subito sua madre , dopo la perizia del 26 febbraio 1999 ( paragrafo 116 qui di seguito ). La Unità Sanitaria Locale precisò peraltro che gli incontri con la nonna e il padre sarebbero cominciati in un secondo tempo. 89. Qualche giorno più tardi, G. fece sapere al tribunale che, dopo l’esperienza della perizia, si augurava di non incontrare la madre e la nonna per almeno tre mesi. 90. Dopo un lavoro di preparazione della prima ricorrente, il primo incontro con i figli si svolse tuttavia il 29 aprile 1999, avendo G. preferito, sembra, non lasciare che il fratello minore partecipasse da solo all’ incontro. Secondo i rapporti dei servizi sociali ( datati 21 giugno e 5 luglio 1999), questo primo incontro avrebbe messo in evidenza delle difficoltà per i bambini ma anche per la loro madre. Quest’ultima non avrebbe ascoltato abbastanza i figli, che avrebbero percepito la sua insistenza come una minaccia alla stabilità che essi avevano trovato nel loro ambiente attuale. Dall’inizio dell’incontro, i bambini sarebbero stati diffidenti e il minore non avrebbe neanche riconosciuto la prima ricorrente come sua madre. Secondo i servizi sociali, i bambini, benché desiderosi di incontrare la loro madre, sarebbero rimasti delusi. 91. Tuttavia, l’esame da parte della Corte (europea n.d.t.) del materiale visuale prodotto dal Governo (paragrafo 10 sopra) non ha confermato il giudizio e le valutazioni sfavorevoli dei servizi sociali, ai quali il Governo fa riferimento. L’incontro, che si è svolto in una stanza dell’unità di psicologia dei servizi sociali, è stato caloroso e si è svolto in un clima piuttosto disteso. A metà dell’incontro, il maggiore si è messo a piangere, molto probabilmente quando sono riaffiorate vecchie sofferenze legate al suo drammatico passato. Questo momento è stato molto breve, il bambino è sembrato sollevato e si è presto ristabilito un clima sereno tra la ricorrente e i suoi bambini. I servizi sociali hanno, quanto a loro, fatto prova di una evidente mancanza di sensibilità nei confronti della prima ricorrente. Due assistenti/esperti rimasero nella stanza durante tutto l’incontro, di modo che la ricorrente non ha potuto beneficiare in alcun momento di una certa intimità con i suoi figli. Inoltre, l’incontro è stato interrotto in un modo piuttosto brusco. Agli occhi della Corte, nell’insieme la relazione tra la ricorrente e i figli è stata calorosa e distesa, benchè carica da un punto di vista emozionale. La ricorrente ha tenuto un comportamento responsabile dall’inizio alla fine dell’incontro e si è mostrata pronta a cooperare e rispettosa. Se i bambini non hanno manifestato un evidente dispiacere nel momento in cui l’incontro è terminato, c’è da constatare, secondo la Corte, che i termini, molto più drammatici e sfavorevoli alla ricorrente, che i servizi sociali hanno impiegato nei loro rapporti, qui sopra riassunti, per descrivere il colloquio, non corrispondono a quello che risulta dal materiale visivo presentato dal governo convenuto. 92. Tuttavia, in una lettera indirizzata agli assistenti sociali il 6 maggio 1999, il maggiore dei bambini dichiarò la sua delusione riguardo a questo primo incontro. 93. Un secondo colloquio si svolse il 9 settembre 1999. Secondo il rapporto dei servizi sociali, in questa occasione G. chiese a sua madre di dargli spiegazioni circa la sua pretesa passività riguardo alle allusioni del bambino alle violenze pedofile che subiva. Poiché la ricorrente respingeva questi rimproveri, G. lasciò la stanza. Nel loro rapporto, i servizi sociali sottolinearono l’incapacità della ricorrente di ascoltare suo figlio e di seguire le indicazioni degli esperti, pur mostrando della comprensione per la sua dolorosa situazione e per il suo desiderio di affermare il suo ruolo di madre. Secondo un ulteriore rapporto ( paragrafo 95 qui di seguito), una fra gli specialisti presenti all’incontro aveva suggerito alla prima ricorrente di scrivere una lettera a suo figlio ma, secondo i termini del rapporto, questa si era rifiutata. 94. Tuttavia, l’esame da parte della Corte del materiale sonoro presentato dal Governo (paragrafo 10 sopra) non ha confermato la posizione dei servizi sociali. Questo incontro sembra essersi svolto in condizioni simili a quelle del primo, cioè in particolare nei locali dei servizi sociali e ancora una volta alla presenza di due esperti. Gli elementi seguenti, che si riferiscono ai momenti forti dell’incontro, hanno permesso alla Corte di constatare ancora una volta delle divergenze tra il rapporto ufficiale dei servizi sociali e ciò che risulta dalla registrazione. In particolare: – il rapporto non riporta il fatto che la ricorrente ha chiesto ai bambini se erano felici di rivederla e il fatto che questi hanno risposto affermativamente; – il maggiore non ha preso spontaneamente il discorso sul ruolo della madre riguardo al pedofilo di cui egli è stato vittima, come il rapporto sembra suggerire, ma è stato uno dei due esperti presenti all’incontro che lo ha spinto a farlo; – dopo la fine dell’incontro, uno degli esperti ha detto alla ricorrente che in realtà suo figlio maggiore non voleva più vederla e che si era potuto organizzare un nuovo colloquio solo grazie all’altro esperto che era presente all’incontro; – gli esperti hanno affermato che un nuovo incontro sarebbe dipeso dalla disponibilità del figlio maggiore e che la ricorrente avrebbe potuto rivedere il figlio minore « se possibile », al che la ricorrente ha reagito domandando loro di precisare il significato di quest’ultima espressione; gli esperti hanno risposto che questo non dipendeva da loro. 95. Il 4 ottobre 1999, gli specialisti dei servizi sociali incontrarono i bambini al « Forteto », alla presenza dei genitori affidatari, per valutare la possibilità di proseguire a breve scadenza gli incontri con la loro madre. Secondo il rapporto dei servizi sociali l’incontro terminò « con l’accordo , sollecitato da G. e M., di sospendere per il momento gli incontri con la loro madre ». Una nuova riunione di preparazione della prima ricorrente fu tuttavia fissata per il 9 novembre 1999. 96. Il 3 gennaio 2000, una esperta dei servizi sociali incontrò la prima ricorrente. In quest’occasione, quest’ultima si lamentò del fatto che i regali inviati ai suoi bambini per Natale erano stati rifiutati. Ella ripetè il suo attaccamento ai figli e la sua volontà di spiegarsi con loro se questi accettavano di incontrarla. Da allora, nessun altro incontro è stato organizzato o programmato. Inoltre, nel loro ultimo rapporto del 29 marzo 2000 i servizi sociali hanno affermato, tra l’altro, che : – il maggiore dei bambini sta sviluppando una nuova identità improntata sulle sofferenze legate agli avvenimenti passati e, pertanto, non sembra essere manipolato; – il maggiore dei bambini ritiene preferibile non rivedere sua madre per i due prossimi anni; – i servizi sociali hanno deciso di sospendere ogni contatto tra la prima ricorrente e i suoi bambini, pur continuando a prepararla al fine di tenerla al corrente riguardo all’evoluzione dell’atteggiamento dei suoi figli nei suoi confronti. 97. Peraltro, quanto al padre, egli non ha mai incontrato i figli, benchè alla fine del 1999 si fossero svolte delle riunioni di preparazione con i servizi sociali. Secondo il rapporto dei servizi sociali dell’ 8 novembre 1999, il padre sembra essere al corrente degli sviluppi concernenti i rapporti tra la sua ex moglie e i figli, in particolare quanto all’esito negativo dell’incontro del 9 settembre 1999. La prima ricorrente tuttavia sostiene di non avere più rapporti con il suo ex marito, il quale dividerebbe il suo tempo tra il Belgio e l’Italia. F. Ulteriore ricorsi promossi dalle ricorrenti 98. Il 21 gennaio 1999, la prima ricorrente interpose appello contro la decisione del tribunale per i minorenni del 22 dicembre 1998. Ella domandò in primo luogo il ripristino della potestà genitoriale e la ripresa immediata dei rapporti con i suoi figli. Fece riferimento in particolare al fatto che nel frattempo ella si era separata dall’ ex marito, che il giudice competente aveva riconosciuto colpevole di violenze contro la stessa e contro i suoi bambini, e al fatto che ella conduceva in quel momento una vita normale e esercitava la professione di podologa. 99. La prima ricorrente contestò inoltre la decisione di tenere i bambini presso il « Forteto » e domandò che fossero collocati altrove. A questo riguardo, ella sosteneva che: – in questa comunità era difficile l’accesso per i genitori dei bambini che vi erano accolti; – L.R.F. e L.G. rappresentavano sempre delle figure di riferimento all’interno del « Forteto », nonostante la loro condanna; – le persone alle quali i suoi bambini erano affidati all’interno del « Forteto » facevano di tutto per ostacolare la ripresa delle relazioni con i bambini. 100. Anche la seconda ricorrente fece opposizione. 101. Il 22 marzo 1999, il tutore dei bambini intervenne nella procedura dinanzi alla corte d’appello per domandare che gli incontri fossero sospesi per qualche mese, tra gli altri per i motivi che: – le qualificazioni professionali vantate dalla prima ricorrente erano largamente esagerate; – per diversi anni, quella non si era resa conto di ciò che subiva il figlio maggiore G., con ciò dimostrando la sua incapacità a esercitare le sue funzioni di madre; – la nonna aveva sempre vissuto in Belgio e non si era mai veramente interessata ai bambini; non si conosceva l’attività che esercitava da quando si era stabilita in Italia; ancora, non si capiva come potesse rivendicare delle capacità di educazione che non aveva saputo esercitare con sua figlia ( la prima ricorrente ), che nella migliore delle ipotesi era una madre inadeguata, inadatta e assente; – il padre dei bambini era un delinquente in fuga, dopo la sua evasione da una prigione del Belgio dove scontava una pena a 27 anni di carcere per omicidio; – « Il Forteto » era una cooperativa di fama internazionale per la sua produzione di latte e di prodotti caseari, ma anche una comunità d’avanguardia per il recupero di bambini in condizioni disagiate, fondata da venti famiglie che non l’avevano mai abbandonata; se è vero che due dei suoi membri, che in ogni caso non facevano parte della famiglia affidataria dei bambini della prima ricorrente, erano stati condannati, era anche vero che tali processi potevano basarsi su false testimonianze; in più, in circa venti anni 70 bambini erano stati affidati alla cooperativa dai tribunali di tutte le provincie d’Italia, e alcuni di questi affidi erano in seguito sfociati in delle adozioni, con ciò confermando la validità di questa scelta e la fiducia di cui godeva « Il Forteto ». 102. Il procuratore generale presso la corte d’appello chiese la sistemazione dei bambini presso la loro nonna o, altrimenti , presso un’ altra famiglia. 103. Il 31 marzo 1999, la corte d’appello confermò la decisione del tribunale, sottolineando in particolare l’evoluzione positiva dello stato dei bambini. Quanto alle allegazioni concernenti « Il Forteto », la corte d’appello considerò che si trattava di accuse generiche, fatta eccezione per degli avvenimenti risalenti a venti anni prima, che in ogni caso non riguardavano i genitori affidatari dei bambini. Se le ricorrenti avevano presentato le dichiarazioni di persone altamente qualificate contestando i metodi impiegati nel « Forteto », non si poteva negare il fatto che altre dichiarazioni provenienti da persone altrettanto qualificate confermavano la reputazione di cui godeva la cooperativa. La buona condizione dei bambini escludeva peraltro la necessità di dare seguito alle richieste della nonna: se teoricamente la collocazione in famiglia sembrava preferibile a quella in comunità, la sistemazione dei bambini durava ormai da un po’ di tempo e dava dei buoni risultati. Inoltre, i bambini non avevano molta confidenza con la loro nonna, che, inoltre, non sembrava essere indipendente da sua figlia. 104. La prima ricorrente ricorse in Cassazione. Quanto alla collocazione presso il « Forteto », ella osservò che anche se i bambini non erano affidati direttamente ai due responsabili che erano stati condannati, i genitori affidatari erano delle persone che quelli avevano accolto e formato (L.R.F. era anche divenuto il presidente della cooperativa). Ancora, la moglie di L.G. era attivamente coinvolta nel controllo dei bambini. Il maggiore, G., d’altronde aveva ammesso, nella sua lettera del 2 marzo 1999, che quella l’aveva aiutato ad interpretare i suoi dubbi riguardo alla madre. 105. L’esito della procedura dinanzi la Corte di Cassazione non è conosciuto. 106. Il 25 ottobre 1999 la prima ricorrente domandò al giudice tutelare di sollecitare l’organizzazione di incontri meno distanziati nel tempo rispetto al passato, di autorizzare una esperta psicologa a incontrarsi con i bambini anche all’interno del « Forteto » e a partecipare alle riunioni preparatorie prima degli incontri, e di ordinare che le registrazioni video degli incontri fossero inserite nel fascicolo di causa. Il 3 novembre 1999, il giudice tutelare accolse in particolare le richieste relative alla partecipazione della esperta psicologa alle riunioni preparatorie e agli incontri, come anche alla produzione delle registrazioni degli incontri. Il tutore dei bambini fece opposizione. 107. Con una decisione del 12 gennaio 2000, il tribunale per i minorenni di Firenze accolse l’opposizione del tutore e annullò la decisione del giudice tutelare. Il tribunale considerò che, in seguito alle informazioni fornite dai servizi sociali, i risultati negativi dei due incontri dovevano essere imputati alla mancanza di collaborazione della prima ricorrente. Quindi, la partecipazione di un’altra esperta agli incontri non sembrava necessaria a facilitare un diverso atteggiamento da parte della prima ricorrente, che era già seguita in modo adeguato dei servizi istituzionali designati dal tribunale. Quanto alle registrazioni degli incontri, il tribunale ritenne che l’esame di questo materiale da parte della prima ricorrente non era opportuno e che il fine della registrazione era quello di permettere ai servizi competenti di valutare i colloqui e la possibilità e l’opportunità di proseguirli. 108. La prima ricorrente interpose appello contro questa decisione. Ella argomentò fra l’altro che il tribunale dei minori aveva accettato tali e quali le conclusioni dei servizi sociali sui risultati negativi degli incontri, senza esercitare il suo ruolo di controllo critico della attuazione delle sue decisioni, con l’aiuto di ogni elemento oggettivo utile come il materiale audiovisivo di cui ella sollecitava la produzione. Secondo la prima ricorrente, ella aveva a maggiore ragione il diritto di esaminare questo materiale al fine di meglio comprendere se stessa e adattare il suo comportamento, senza tenere conto del fatto che non capiva come un incontro che lei aspettava da anni avesse potuto essere interpretato in maniera così negativa. Era inoltre assurdo che il tribunale rifiutasse di esaminare esso stesso il materiale o, ancora, di autorizzarne il giudice tutelare. Infine, la partecipazione alle riunioni preparatorie e ai colloqui da parte di una esperta nominata dalla prima ricorrente aiutava quest’ultima a partecipare alla formazione psicofamiliare dei bambini, dato che nessuna disposizione di legge vieta al genitore di prepararsi alla ripresa delle relazioni con i propri bambini con l’assistenza di una psicologa privata. 109. Con una decisione del 17 marzo 2000, il tribunale per i minorenni autorizzò la comunicazione del materiale audiovisivo alla ricorrente; questo materiale era già stato trasmesso alla Corte e aveva, di conseguenza, acquisito un valore procedurale oltre che clinico. G. Il programma degli incontri con la seconda ricorrente 110. La seconda ricorrente fu convocata il 4 novembre 1999 per cominciare un programma di preparazione degli incontri con i suoi nipoti. Tuttavia questa convocazione ritornò al mittente. Furono effettuate delle ricerche per stabilire se la seconda ricorrente avesse nel frattempo cambiato residenza. Su suggerimento della prima ricorrente, una nuova convocazione fu inviata presso la sorella. I servizi sociali, tuttavia, furono informati che la seconda ricorrente non poteva essere presente sempre. Ciò era accaduto anche per un incontro previsto per il mese di dicembre deI 1999. Secondo la seconda ricorrente, la sua assenza si spiegherebbe per il fatto che a quell’epoca ella era dovuta rientrare d’urgenza in Belgio, poiché era stata revocata, a causa del suo trasferimento in Italia, l’indennità d’invalidità che ella percepiva per il figlio handicappato. Una prima riunione preparatoria con i servizi sociali infine si tenne il 10 gennaio 2000. 111. Secondo il rapporto redatto dai servizi sociali, nel corso di questo incontro la seconda ricorrente si lamentò per non essere stata convocata nel marzo del 1999 e fece presente che ella non poteva assentarsi dal Belgio più di tre mesi perché in caso contrario rischiava di perdere l’indennità di invalidità che percepiva da questo Stato per il figlio handicappato. Affermò di volere rivedere i bambini e ne sollecitò la custodia. Giustificò d’altra parte il suo silenzio di diversi mesi con il fatto che lei non sapeva a che punto era il programma degli incontri tra i bambini e sua figlia, con la quale affermava di non avere contatti. Sempre secondo il rapporto, ella sconsigliò peraltro di affidare i bambini alla loro madre a causa dei persistenti contatti di quella con il suo ex marito, ciò che le era stato confermato sia dalla sua stessa figlia che dai vicini. Secondo lei, la causa di tutti i problemi era N.A. per la sua violenza e per l’incapacità della prima ricorrente di difendersi e difendere i suoi bambini. Ella concluse esprimendo il suo scontento per la collocazione dei bambini presso il « Forteto ». 112. Secondo le ultime informazioni inviate dalla parte ricorrente, la seconda ricorrente sarà obbligata a rimborsare una somma considerevole allo Stato belga a titolo di indennità percepite durante i suoi periodi di residenza in Italia. Peraltro, nel mese di febbraio del 2000 la seconda ricorrente sarebbe stata ricoverata a causa di problemi cardiaci. H. Seguito della inchiesta penale concernente la prima ricorrente 113. Il 19 giugno 1998, il tutore trasmise alla procura una lettera scritta il giorno prima dal maggiore dei bambini. Il bambino vi affermava che sua madre era al corrente delle attività di pedofilia di cui egli era stato vittima e che in una occasione egli aveva visto sua madre ricevere denaro da M.L. 114. Il bambino confermò le accuse nel corso del suo interrogatorio da parte del pubblico ministero il 14 luglio 1998. In questa occasione, egli fu accompagnato dal sign. G.C. e dalla signora M.C. (in realtà la moglie di L.G.) in quanto genitori affidatari. 115. L’ 11 novembre 1998, il pubblico ministero ascoltò M.L. riguardo alle accuse lanciate dal maggiore dei bambini contro la prima ricorrente. In questa occasione, M.L. smentì ciò che aveva affermato il bambino e concluse in questi termini : « Ciò che ho detto finora è la semplice verità. Non avrei alcuna difficoltà a confermare le affermazioni di G. se corrispondessero a verità (…). Ritengo che G. ha inventato, almeno in parte, ciò che ha detto anche per rancore verso i suoi genitori. G. aveva una pessima relazione con suo padre, ma adorava sua madre. Forse in seguito ha sviluppato un certo rancore perché ha risentito del fatto che quella non l’aveva protetto a sufficienza. Se io potessi confermare ciò che ha detto lo farei, anche per aiutarlo. » 116. Il 27 febbraio 1999 fu fatta una perizia sui bambini, alla presenza del giudice per le indagini preliminari e di un esperto. La valutazione dei risultati di questa perizia da parte delle autorità giudiziarie non è ancora conosciuta. Durante questa perizia, il bambino ammise di avere scritto la lettera del 19 giugno 1998 alla presenza, tra gli altri, di R. (verosimilmente L.R.F.). Egli affermò peraltro che gli avrebbe fatto piacere rivedere sua madre. 117. D’altra parte, in tempi e circostanze che non sono state precisate, la sorella della prima ricorrente fu ascoltata dal tribunale per i minorenni di Firenze. Ella dichiarò di vivere con la madre e uno dei suoi fratelli a Figline Valdarno. Secondo le sue dichiarazioni, un altro fratello, implicato in un traffico di stupefacenti, era stato ucciso. Un fratello maggiore non le aveva perdonato di essersi costituita parte civile nell’ambito del processo concernente la morte dell’ altro fratello, il primo l’aveva accusata di tentato omicidio nei suoi confronti. Secondo il verbale che riportava queste dichiarazioni della sorella, anche la prima ricorrente sarebbe stata accusata. I. Altri dati relativi allo stato psicologico e fisico dei bambini 118. Un certificato del neuropsichiatra R.L. dell’ 8 giugno 1998 notava una certa fragilità psicologica nel minore dei bambini e raccomandava molta prudenza negli interventi delle autorità. 119. Peraltro : – un certificato proveniente da un primo medico, datato primo novembre 1998, qualificava lo stato di salute del maggiore «eccellente » ; – un certificato di un secondo medico, datato 11 novembre 1998, riteneva peraltro che lo stato di salute del minore era migliorato e lo qualificava « buono ». 120. Un certificato redatto il 24 novembre 1998 da un pediatra affermava le eccellenti condizioni dei bambini, il cui sviluppo e la cui crescita sembravano essere nella norma. 121. Inoltre, le note di valutazione riguardanti il maggiore e relative all’anno scolastico 1997/1998 come anche una relazione degli insegnanti menzionavano i buoni risultati e i suoi costanti progressi. 122. Secondo il rapporto dei servizi sociali del 5 luglio 1999, il soggiorno dei bambini al « Forteto » era stato molto positivo sul piano emozionale come su quello relazionale; aveva permesso loro di riscoprire un certo equilibrio e una più grande apertura alle relazioni interpersonali. 123. Infine, secondo l’ultimo rapporto dei servizi sociali del 29 marzo 2000 il minore frequenta già una scuola materna e ha un rapporto molto buono con gli insegnanti. II. IL DIRITTO INTERNO PERTINENTE 124. Ai sensi dell’articolo 330 del codice civile italiano : « Il giudice puó pronunziare la decadenza dalla potestà quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. In tale caso, per gravi motivi, il giudice puó ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare. » 125. L’articolo 333 del codice civile dispone come segue : « Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall’articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze puó adottare i provvedimenti convenienti e puó anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare. Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento. » 126. Peraltro, la legge n° 184 del 4 maggio 1983, che disciplina l’affidamento dei minori e l’adozione, prevede in particolare che il minore che sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo può essere affidato ad un’altra famiglia, ad una comunità di tipo familiare o , in mancanza di una sistemazione familiare idonea, ad un istituto di assistenza (articolo 2). 127. L’articolo 4 di questa stessa legge dispone in particolare che il provvedimento di affidamento familiare deve indicare fra le altre cose il periodo di presumibile durata dell’affidamento (comma 3). Inoltre, ai sensi dell’articolo 5 la famiglia, l’istituto di assistenza o la comunità presso cui il bambino è sistemato devono agevolare i rapporti tra il minore e i suoi genitori biologici e il suo reinserimento nella famiglia di origine. 128. Peraltro, secondo l’articolo 9, gli istituti di assistenza devono trasmettere semestralmente al giudice tutelare un rapporto riguardante i minori , i loro rapporti con la famiglia di origine e lo stato psicologico e fisico del minore. Ai sensi di questa stessa disposizione , il giudice tutelare deve segnalare al tribunale per i minorenni i minori che risultano in situazioni di abbandono all’interno dell’istituto e, inoltre, deve procedere ad una ispezione ogni sei mesi. 129. Infine, l’articolo 12 dispone in particolare che quando dalle indagini effettuate consta l’esistenza di genitori o di parenti entro il quarto grado che abbiano mantenuto rapporti significativi con il minore e ne è nota la residenza, il presidente del tribunale fissa la loro comparizione (comma 1). Dopo l’audizione, il presidente del tribunale può impartire loro le prescrizioni idonee a garantire al minore l’assistenza morale, il mantenimento, l’istruzione e l’educazione (comma 3). IN DIRITTO i. SULLA pretesa VIOLAZIONE DELL’ ARTICOLO 8 DELLA CONVENZIONE 130. La prima ricorrente, che dichiara di agire anche a nome dei suoi figli, sostiene che la sospensione della sua potestà genitoriale e l’allontanamento dei figli, il ritardo con il quale le autorità le hanno permesso infine di incontrarli e il numero insufficiente di incontri organizzati fino ad allora, come anche la decisione delle autorità di collocare i bambini presso la comunità « Il Forteto » hanno violato l’articolo 8 della Convenzione. 131. Anche la seconda ricorrente allega una violazione dell’articolo 8 per il fatto che le autorità hanno scartato la possibilità di affidarle i suoi nipoti e hanno tardato ad organizzare degli incontri tra lei e i bambini. 132. L’articolo 8 è così formulato : « 1. Ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza. 2. Non può esservi ingerenza di una autorità pubblica nell’esercizio di tale diritto a meno che tale ingerenza sia prevista dalla legge e costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del paese, alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale, o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui.» 133. Il Governo contesta le tesi delle ricorrenti. 134. La Commissione ha ritenuto che non vi è stata violazione per quanto riguarda la sospensione della potestà genitoriale e l’affidamento dei bambini al « Forteto », come anche nei riguardi della seconda ricorrente. Ha ritenuto, al contrario, che questo articolo è stato disapplicato per quanto riguarda l’interruzione dei contatti tra la prima ricorrente e i suoi bambini. A. Sulla eccezione del governo convenuto quanto alla legittimazione della prima ricorrente ad agire anche a nome dei suoi figli e, di conseguenza, quanto alla legittimazione del governo belga a intervenire nel procedimento 135. Il governo italiano contesta, in primo luogo, che la ricorrente abbia la legittimazione ad agire anche a nome dei suoi bambini, poichè la potestà genitoriale dell’interessata è stata sospesa a partire dal 9 settembre 1997, la madre è in conflitto di interessi con i suoi bambini ed è sottoposta a procedimento penale per fatti in danno dei suoi bambini. Inoltre, il Governo contesta che la prima ricorrente abbia mai affermato chiaramente di ricorrere alla Corte anche a nome dei suoi bambini. 136. Il Governo ne deduce, peraltro, che il governo belga non ha la legittimazione ad intervenire nella misura in cui questo intervento si fondi unicamente sulla nazionalità belga del maggiore dei bambini. 137. La Commissione ha respinto questa eccezione, rilevando che il modulo del primo ricorso indica in maniera chiara, tra le parti ricorrenti, i figli della prima ricorrente, con la indicazione dello stesso avvocato a rappresentarli nel procedimento dinanzi alla Commisione, e considerando che nulla si oppone a che dei minori si rivolgano alla Commisione. Questo è il caso, a maggiore ragione, se essi sono rappresentati da una madre in conflitto di interessi con il tutore incaricato dai pubblici poteri di gestire i loro interessi al suo posto. 138. La Corte ricorda che in principio, una persona che non ha, nel diritto interno, il diritto di rappresentare un’altra persona, può comunque, in alcune circostanze, agire dinanzi alla Corte in nome di quest’altra persona (si veda, mutatis mutandis, la sentenza Nielsen c. Danimarca del 28 novembre 1988, serie A n° 144, pp. 21-22, §§ 56-57). In particolare, i minori possono rivolgersi alla stessa Corte, e , a maggior ragione, se sono rappresentati da una madre in conflitto con le autorità, di cui questa critica le decisioni e la condotta alla luce dei diritti garantiti dalla Convenzione. Come la Commissione, anche la Corte ritiene che in caso di conflitto, a proposito degli interessi di un minori, tra il genitore biologico e la persona investita dalle autorità della tutela dei bambini, vi è il rischio che alcuni interessi del minore non siano mai portati all’attenzione della Corte e che il minore sia privato di una protezione effettiva dei diritti che gli derivano dalla Convenzione. Quindi, come è stato osservato dalla Commissione, anche se la madre è stata privata della potestà genitoriale, che è, d’altronde, uno dei fatti che hanno generato il conflitto portato dinanzi alla Corte, la sua qualità di madre biologica è sufficiente a darle il potere di comparire dinanzi alla Corte anche a nome dei figli per proteggere i loro interessi. 139. La Corte ricorda per di più che le condizioni che disciplinano i ricorsi individuali non coincidono necessariamente con i criteri nazionali relativi al locus standi. In effetti, le regole interne in materia possono essere poste per fini diversi da quelli dell’ articolo 34 della Convenzione. Se a volte vi sono analogie tra i rispettivi scopi, non è necessariamente sempre così (si veda la sentenza Norris c. Irlanda del 26 ottobre 1988, serie A n° 142, p. 15, § 31). 140. Avendo dunque la prima ricorrente legittimazione ad agire anche a nome dei suoi figli, il governo belga ha il diritto di intervenire nel procedimento, ai sensi degli articoli 36 § 1 della Convenzione e 61 § 2 del regolamento, avendo il maggiore dei bambini anche la nazionalità belga. 141. La Corte ritiene quindi di respingere l’eccezione preliminare del Governo sia per quanto concerne il locus standi dei bambini della prima ricorrente, sia per quanto riguarda la legittimazione del governo belga ad intervenire nel procedimento. B. Sull’osservanza dell’articolo 8 : le ingerenze erano « previste dalla legge » e perseguivano uno scopo legittimo ? 142. Non si contesta che le ingerenze incriminate fossero previste dalla legge ai sensi dell’articolo 8, in particolare dagli articoli 330 e 333 del codice civile (paragrafi 124 e 125 sopra), come anche dall’articolo 2 della legge n° 184 del 1983 (paragrafo 126 sopra). E’ vero che la parte ricorrente allega la disapplicazione di alcune disposizioni di quest’ultima legge, in particolare quanto al periodo di presumibile durata dell’affidamento (articolo 4 comma 3), al dovere dei responsabili dell’istituto di affido di agevolare i rapporti con la famiglia di origine (articolo 5) e al rifiuto di prendere in considerazione la possibilità di affidare i bambini alla nonna materna (articolo 12 comma 1). Tuttavia, questi elementi riguardano il modo in cui le disposizioni interne pertinenti sono state applicate e non la base legale delle ingerenze incriminate in sè. Questi elementi si rapportano quindi al problema di sapere se le disposizioni pertinenti sono state applicate in conformità ai principi della Convenzione. 143. D’altro canto, non si presta nemmeno a controversia che le misure incriminate perseguivano uno scopo legittimo ai sensi dell’articolo 8, cioè la « protezione della salute o della morale » e « la protezione dei diritti e delle libertà altrui », nella misura in cui esse miravano a salvaguardare il benessere dei bambini della prima ricorrente. C. Sulla osservanza dell’articolo 8 : le ingerenze erano « necessarie in una società democratica » ? 1. La sospensione della potestà genitoriale della prima ricorrente e l’allontanamento dei bambini a) Tesi dei comparenti i. La prima ricorrente 144. La prima ricorrente contesta la decisione delle autorità e sottolinea, fra l’altro, la sua volontà di affrancarsi dall’ambiente familiare rovinato dai comportamenti violenti del suo ex marito, e lo attesterebbe , in particolare, la denuncia che ella ha sporto contro quest’ultimo e la sua decisione di separarsi. ii. Il governo belga 145. Il governo belga ritiene che il provvedimento di sospensione della potestà sembra giustificato, tenuto conto delle scarse capacità educative della prima ricorrente e del suo ex marito. iii. Il governo italiano 146. Il governo convenuto sottolinea in primo luogo la gravità della situazione familiare della prima ricorrente, caratterizzata dagli abusi sessuali che un amico di quella ha fatto subire al maggiore dei bambini e le violenze ripetute che caratterizzavano le relazioni familiari. Il Governo fa riferimento anche alla personalità problematica della prima ricorrente e conclude che il provvedimento controverso era pienamente giustificato nell’interesse dei bambini. iv. La Commissione 147. La Commissione ha ritenuto che, essendo i bambini rimasti troppo a lungo confrontati a queste situazioni certamente pregiudizievoli per il loro sviluppo, l’ingerenza delle autorità, nella misura dell’allontanamento dei bambini, si giustificava in vista della protezione degli interessi di questi ultimi. b) Valutazione della Corte 148. La Corte ricorda che « (…) la disgregazione di una famiglia costituisce una ingerenza gravissima. Perciò, una tale misura deve basarsi su considerazioni ispirate all’interesse del bambino e deve avere molto peso e solidità » (sentenza Olsson c. Svezia (n° 1) del 24 marzo 1988, serie A n° 130, p. 33, § 72). Bisogna dunque avere riguardo « al giusto equilibrio da combinare tra gli interessi concorrenti dell’individuo e della società nel suo insieme ; lo stesso, (…) lo Stato gode di un certo margine di valutazione (…) » (sentenza Hokkanen c. Finlandia del 23 settembre 1994, serie A n° 299-A, p. 20, § 55). In questo campo, la Corte « non si limita a domandarsi se lo Stato convenuto ha usato del suo potere di valutazione in buona fede, con cura e in maniera sensata (…). Inoltre, nell’esercitare il suo controllo la Corte non si contenterebbe di esaminare isolatamente le decisioni criticate; bisogna considerarle alla luce dell’intero caso e determinare se i motivi invocati a sostegno delle ingerenze in causa sono « pertinenti e sufficienti » (…) » (sentenza Olsson c. Svezia (n° 1) succitata, p. 32, § 68 ; cfr. anche, mutatis mutandis, la sentenza Vogt c. Germania del 26 settembre 1995, serie A n° 323, p. 26, § 52). 149. La Corte rileva che dal 1994 la situazione familiare della prima ricorrente si è molto deteriorata (paragrafo 13 sopra). Sottolinea in modo particolare il ruolo negativo dell’ex marito. Risulta dal fascicolo di causa che questi, in effetti , porta una pesante responsabilità per il clima di violenza che si era instaurato all’interno della famiglia a causa delle sue ripetute violenze sui figli e sulla ex moglie, per le quali quest’ultima l’ha del resto denunciato (paragrafo 13 sopra). 150. Tuttavia , è d’uopo anche rilevare che anche dopo la separazione dal suo ex marito, la prima ricorrente ha avuto difficoltà ad occuparsi dei suoi bambini. A questo riguardo, la Corte attribuisce un certo peso al rapporto del 9 giugno 1997 redatto dalla neuropsichiatra della Unità Sanitaria Locale (paragrafo 24 sopra), che constata nella prima ricorrente delle turbe della personalità e la giudica inadatta a gestire la complessa situazione della sua famiglia e dei suoi bambini. A questo si aggiunge il grave trauma causato al maggiore dei bambini dagli atti di pedofilia di un educatore che era riuscito a stabilire delle buone relazioni con la famiglia della prima ricorrente. 151. Tenuto conto di queste circostanze, la Corte aderisce, su questo punto, al parere della Commisione e ritiene che, in un tale contesto, l’intervento delle autorità, attraverso la sospensione della potestà genitoriale della prima ricorrente e l’allontanamento temporaneo dei bambini dalla loro madre, si basava su dei motivi pertinenti e sufficienti e si giustificava per la protezione degli interessi dei bambini. Pertanto, a questo riguardo, non vi è stata violazione dell’articolo 8 della Convenzione. 2. Gli incontri tra la prima ricorrente e i suoi figli a) Tesi dei comparenti i. La prima ricorrente 152. La prima ricorrente osserva, in primo luogo, che non si capisce perché, a partire dalla decisione del 9 settembre 1997, le è stato impedito di vedere il figlio maggiore. 153. Quanto alle accuse che le sono state mosse nel luglio 1998, la prima ricorrente afferma che è assurdo interrompere un rapporto così delicato come quello tra madre e figlio ; infatti, se al termine del procedimento verrà riconosciuta innocente, avrà subito un pregiudizio irreversibile. A questo riguardo, ella rimprovera alle autorità di avere usato due pesi e due misure: le accuse che le sono state mosse e che non hanno portato ad un rinvio a giudizio, hanno motivato la separazione dai suoi figli per un periodo anche lungo, mentre una sentenza definitiva, che riconosce due responsabili del « Forteto » colpevoli di gravi delitti su minori che erano stati loro affidati, non ha impedito al tribunale per i minorenni di continuare ad affidare loro dei bambini. 154. La prima ricorrente allega, poi, che in realtà, i servizi sociali hanno nei suoi riguardi un atteggiamento radicalmente negativo che starebbe influenzando fortemente il figlio maggiore al punto che egli manifesta una ostilità nei suoi riguardi che in precedenza non appariva. ii. Il governo belga 155. Il governo belga sottolinea in primo luogo che quando nel marzo del 1998 il tribunale per i minorenni ha ordinato la attuazione di una procedura preparatoria concernente M., la questione di sapere se la sospensione dei contatti con G. dovesse essere mantenuta non è stata affatto presa in considerazione, benchè lo studio psichiatrico ordinato dal tribunale il 18 novembre 1997 concernesse entrambi i bambini. 156. Quanto alla sospensione dell’incontro già programmato con il figlio minore per l’8 luglio 1998, il governo belga osserva che, se è difendibile in principio, tuttavia si può rilevare in pratica che : – le allegazioni che hanno portato alla audizione del bambino erano conosciute da sette mesi (7 gennaio 1998) ; – le rivelazioni non hanno coinvolto che il padre del bambino, mentre l’estensione dell’accusa alla prima ricorrente rimane ipotetica, secondo i termini impiegati dal procuratore della Repubblica nelle sue note del 18 e 26 giugno 1998 ; – M. non sarà ascoltato che il 27 febbraio 1999, sette mesi più tardi. 157. In realtà, non si procederà all’audizione di M. che dopo la pronuncia della decisione del 22 dicembre 1998 del tribunale per i minorenni che ordina l’instaurazione di una nuova procedura preparatoria alla ripresa dei contatti dei due bambini con la loro madre. La circostanza che il tribunale abbia ordinato la ripresa dei contatti anche prima che M. fosse ascoltato nell’ambito del procedimento penale tende ad indebolire notevolmente la motivazione della sua decisione del 6 luglio 1998, di cui le conseguenze pregiudizievoli per M., legate all’ interruzione brutale del lavoro preparatorio, non sarebbero da ignorare. 158. Anche dopo la decisione del 22 dicembre 1998, gli incontri non inizieranno che, con ritardo, il 29 aprile, dopo una separazione di diciannove mesi. Secondo il governo belga, una soppressione così lunga di ogni contatto costituisce una ingerenza estremamente grave nella vita familiare della prima ricorrente, sopattutto se si considera la giovane età del figlio minore. Le incoerenze nelle decisioni delle autorità, perciò, non risulterebbero compatibili con le esigenze dell’articolo 8. iii. Il governo italiano 159. Il governo convenuto osserva in primo luogo che soltanto il 4 novembre 1997, quindi due mesi dopo la decisione del tribunale di collocare i bambini presso il « Forteto », la prima ricorrente si dolse per la prima volta di non avere avuto ancora la possibilità di incontrare il figlio minore, contrariamente a quello che prevedeva la decisione del tribunale. 160. Il Governo sottolinea in secondo luogo l’atteggiamento ambiguo della prima ricorrente. Al fine di inquadrare meglio la personalità di quella, può essere utile, secondo il Governo, ricordare che nel corso del processo l’interessata si è presentata, a più riprese, come psicologa, infermiera o, ancora, ginecologa.