Storia (vera) di Angela L. Quando il giudice ti ruba la figlia
Il libro è stato presentato alla libreria UBIK di Savona dalla ns associazione il 27 settembre 2009
·Data in adozione per errore e ritrovata in spiaggia ad Alassio
È ANGOSCIANTE per tutti, e quasi insostenibile per chi ha figli piccoli, leggere la storia di Angela L. Prima di tutto perché è una storia vera, ma a questo potremmo in qualche cinico modo essere abituati: ammesso che ci si possa abituare a leggere di bambini rapiti, abusati, uccisi, schiavizzati. In tutti questi casi, però, i bambini sono vittime dei Cattivi.
Di quel Male dal quale cerchiamo di proteggerli ma che a volte non si può evitare. Angela L., invece, è stata vittima dei Buoni, di coloro che dovevano aiutarla: magistrati, psicologi, “esperti” impegnati nella battaglia contro il grande mostro di fine secolo, la Pedofilia. Angela, insieme ai giornalisti Caterina Guarneri e Maurizio Tortorella, racconta il suo calvario in “Rapita dalla giustizia” (Rizzoli, 207 pp., 18,50 euro, da oggi in libreria).
Tutto comincia a Masate, nel Milanese, il 24 novembre 1995. Per lei, che frequenta la prima elementare, è un giorno come tutti gli altri: la sveglia, la colazione, il grembiule sotto il cappottino, la corsa a scuola con i genitori. Un bacio, l’appuntamento all’uscita. Ma Angela non tornerà a casa, quel giorno, e non vedrà più i genitori per i successivi dieci anni. I carabinieri l’hanno prelevata direttamente in classe perché suo padre è sospettato di abusare di lei. Lo accusa una cugina, che ha denunciato di essere stata violentata dal fratello, chiamando poi in causa, con continue accuse e ritrattazioni,altri parenti.
Per Angela cominciano le interviste/interrogatori con gli psicologi, gli anni in case di accoglienza (costo: 4 milioni al mese, il cui conto verrà mandato ai genitori), compresa una di Genova, quindi viene data in affido a una famiglia del Varesotto. Dopo molti colloqui, il suo disegno di un fantasma a cui viene dato il nome “Pisello” diventa la prova che gli inquirenti cercavano. Il padre Salvatore, nel frattempo, è stato arrestato e portato a San Vittore. La moglie Raffaella e l’altro figlio, Francesco, lo difendono strenuamente. Ma a loro nessuno crede.
Il pm titolare dell’inchiesta si chiama Pietro Forno, e non è sempre un male che si conoscano i nomi dei magistrati. Nei primi Anni Novanta, a Milano, il Pool di Mani Pulite ha inaugurato l’epoca della pulizia, o del giustizialismo a seconda dei punti di vista. E Pietro Forno nel 1992 ha messo in piedi un Pool che investe con altrettanta decisione il mondo sommerso della pedofilia. Le sue inchieste fanno discutere, c’è chi loda il suo coraggio e chi invece lo accusa di essere sbrigativo e superficiale. Lui sostiene di avere una percentuale di condanne del 95%. Di certo in questo campo gli errori, pochi o tanti che siano, fanno danni irreparabili.
Salvatore viene condannato a 13 anni nel 1997. La moglie continua a dire che è innocente, e chiede comunque che le restituiscano la bambina. Le fanno capire che potrebbe averla solo se accettasse di accusare il marito, ma lei rifiuta quello che definisce un «ricatto». Angela viene data in adozione. Salvatore è assolto in appello nel 1999, e in Cassazione nel 2001. Non basta per riavere la figlia: la macchina perversa della giustizia può sbagliare, ma non può ammettere di avere sbagliato.
Angela resta con la famiglia adottiva, cambia cognome, cambia città. Da quando è stata “prelevata” non ha più rivisto né il padre né la madre, che naturalmente non sanno dove è finita. A lei hanno detto che i genitori l’hanno abbandonata.
A Milano, intanto, quello che qualcuno ha battezzato il “metodo Forno” ha fatto il suo tempo. Lo ha seppellito in un’aula di tribunale, con un’arringa storica e sconvolgente, il pm Tiziana Siciliano. Subentra al collega in un processo contro un uomo accusato di avere violentato la figlioletta di 4 anni e distrugge l’intera inchiesta, gli psicologi, i periti («Incompetenti, negligenti, superficiali»), le pressioni contro la moglie perché denunci il marito se non vuole vedersi portare via la bambina. «Carta straccia» dice delle prove. «Carta straccia, con dolore e con sgomento». Il pm Forno prosegue la sua vita, la sua carriera. Nel 2004 il Csm lo promuove “numero due” della Procura di Torino.
Nel luglio del 2005, per puro caso, i genitori di Angela scoprono in un documento che la nuova famiglia di Angela va in vacanza ad Alassio. Il giorno dopo sono lì, a setacciare la spiaggia, col cuore in gola. Il 31, ultimo giorno utile, la riconoscono. Sarà con il fratello il primo contatto, sarà lui a raccontare ad Angela tutta la storia. A diciotto anni, finalmente libera di decidere, la ragazza torna a vivere con loro.
E nell’ottobre scorso la Corte dei Diritti dell’Uomo condanna lo Stato italiano a risarcirla.
Scusate se non riusciamo a chiamarlo lieto fine.
Questa è una storia tanto vera quanto drammatica. È l’odissea, durata dieci anni, di una famiglia che si vede strappare la figlia dalla malagiustizia. È soprattutto l’orrore di una bambina di 7 anni che viene prelevata da scuola da due carabinieri e per i successivi 120 mesi non vede più i genitori e il fratello. Per colpa di un’ingiustizia abnorme è costretta a vivere prima nei centri di affido temporaneo e poi in una famiglia adottiva alla quale non riesce né ad adattarsi né ad affezionarsi.·
Una vicenda disperante, anche perché potrebbe capitare a chiunque. Ha origine da una falsa accusa di pedofilia, rivolta nel 1995 al padre della bambina, che si rivela inconsistente durante il processo che ne segue, quando ormai la bambina è stata presa in consegna dal tribunale dei minorenni e la sua esistenza corre lungo un binario implacabile, separato da quello dei genitori. Fu Panorama, nel maggio 2001, a rivelare la storia di Angela L. e della sua famiglia, vittime a Milano di questa ingiustizia senza fine. Panorama seguì il caso, cercando di far tornare al più presto Angela a casa. Da suo padre Salvatore, che era stato assolto in appello e in Cassazione (con tante scuse) dopo 2 anni e più trascorsi in carcere da innocente; da sua madre Raffaella, che non era mai stata nemmeno sfiorata dall’indagine, ma che non poteva più vedere la figlia solo perché aveva avuto il difetto di difendere il marito di cui conosceva bene l’assenza di colpa; da suo fratello Francesco, di poco più grande di Angela, che era rimasto con la madre e da lei era stato amorevolmente cresciuto malgrado infinite difficoltà.
Allora ogni sforzo era stato inutile. Pareva che il tribunale dei minorenni non volesse riconoscere l’errore nonostante la Cassazione. A dire dei giudici, la famiglia di Angela non era degna di riaverla perché suo padre e sua madre mostravano “inadeguata capacità genitoriale”: un giudizio crudele e inverosimile, visto quanto la coppia aveva lottato e sofferto per lei. Ma Salvatore e Raffaella non si sono mai arresi e nell’estate 2006, dopo lunghe ricerche, hanno ritrovato Angela, ormai diciassettenne, su una spiaggia di Alassio, in Liguria. Poi per altri 9 mesi l’hanno seguita da lontano, incerti sul da farsi e preoccupati di non aggiungere turbamenti ai traumi che la figlia aveva già subito. Infine la voce del sangue ha prevalso: “Non potevamo restare ancora lontani” dice la madre. Sono bastati pochi incontri clandestini, pochi abbracci. Ora da più di un anno Angela L. è tornata a casa, anche se a causa dell’adozione ha un cognome diverso dal suo e anche se dentro di sé porta ancora mille ombre. Ma ha deciso di raccontare tutta la sua storia in un libro: Rapita dalla giustizia (Rizzoli, 210 pagine, 18,50 euro), cui hanno collaborato Caterina Guarneri, giornalista di Chi, e Maurizio Tortorella, condirettore di Economy, per anni inviato speciale di Panorama. Così la vicenda di Angela L. si trasforma adesso in un atto d’accusa: per le tante vessazioni sopportate nella sua vita da “orfana per decreto”, per le tante ingiustizie vissute. E per quell’infanzia che le è stata rubata.