Trani .Figlio maggiorenne perde il lavoro… e pure il mantenimento!
In tema di separazione personale dei coniugi, con riguardo ai figli, l’assegno di mantenimento del figlio ha funzione residuale e perequativa rispetto al contributo diretto fornito da ciascun genitore durante i periodi di convivenza con il figlio.
La giurisprudenza (fra le tante, Trib. Trani, 6 marzo 2007) è unanime nel ritenere che il genitore, separato o divorziato, a cui il figlio sia stato affidato durante la minore età, pur dopo che il figlio, non ancora economicamente autosufficiente, sia divenuto maggiorenne, continua, in assenza di un’autonoma richiesta da parte di quest’ultimo, ad essere legittimato “iure proprio” ad ottenere dall’altro genitore il pagamento dell’assegno per il mantenimento del figlio.
Infatti, il dovere di mantenimento del figlio maggiorenne, gravante sul genitore separato non convivente sotto forma di obbligo di corresponsione di un assegno ex art. 156 cod. civ., cessa all’atto del conseguimento, da parte figlio, di uno “status” di autosufficienza economica consistente nella percezione di un reddito corrispondente alla professionalità – quale che sia – acquisita in relazione alle normali e concrete condizioni di mercato.
Ne consegue che, una volta che sia provata la prestazione di attività lavorativa retribuita, resta rimessa alla valutazione del giudice del merito la eventuale esiguità del reddito percepito, al fine di escludere la cessazione dell’obbligo di contributo al mantenimento del figlio a carico del genitore non affidatario (Cass. civ., Sez. I, 17 novembre 2006, n. 24498; idem Cass. civ., Sez. I, 12 giugno 2006, n. 13584). Tale impostazione risulta conforme al principio in forza del quale il mantenimento del figlio maggiorenne convivente è da escludere quando quest’ultimo, ancorchè allo stato non autosufficiente economicamente, abbia in passato iniziato ad espletare (come nella specie) un’attività lavorativa, così dimostrando il raggiungimento di una adeguata capacità e determinando la cessazione del corrispondente obbligo di mantenimento ad opera del genitore, senza che possa avere rilievo il sopravvento di circostanze ulteriori (come, ad esempio, lo stesso abbandono dell’attività lavorativa da parte del figlio, o come, per restare al caso di specie, “la negatività dell’andamento dell’attività”) le quali, se pure determinano l’effetto di renderlo privo di sostentamento economico, non possono far risorgere un obbligo di mantenimento i cui presupposti erano già venuti meno (Cass. civ., 5 agosto, 1997, n. 7195; Cass. civ., 7 luglio 2004, n. 12477) nel senso – esattamente che il fondamentale diritto del coniuge convivente a percepire l’assegno de quo risiede, oltre che nell’elemento oggettivo della convivenza (il quale lascia presumere il perdurare dell’onere del mantenimento), nel dovere dell’altro coniuge di assicurare al figlio un’istruzione ed una formazione professionale rapportate alle capacità di quest’ultimo (oltrechè alle condizioni economiche e sociali dei genitori), così da consentire al medesimo una propria autonomia economica, onde tale dovere cessa con l’inizio appunto dell’attività lavorativa da parte di quello (Cass. civ., 4 marzo 1998, n. 2392).
In particolare, la presente pronuncia precisa che una volta che un figlio si sia reso autonomo, non sono più ipotizzabili nè un suo rientro o una sua permanenza in famiglia nella posizione dell’incapace d’autonomia, nè un ripristino in suo favore di quella situazione di particolare tutela che il legislatore ha inteso predisporre in favore dei soli figli i quali ancora la detta autonomia non abbiano conseguita per difetto di requisiti personali o di condizioni ambientali, e ciò in quanto proprio il fatto d’un’avvenuta stabile collocazione nel mondo del lavoro sta a dimostrare la ricorrenza degli uni e delle altre e, quindi, l’insussistenza dei presupposti per un’ulteriore applicabilità della normativa di particolare favore de qua; nell’ipotesi, quindi, in cui venga meno, per qualsiasi causa, la già conseguita indipendenza economica, la tutela apprestata dall’ordinamento in favore del soggetto rimasto privo di mezzi, sempre che l’evento negativo non risulti a lui imputabile, è quella del diritto agli alimenti, ed è un diritto che l’alimentando, ricorrendone le condizioni, delle quali è tenuto a fornire la prova, deve azionare jure proprio, in quanto il far valere pretesa siffatta implica valutazioni strettamente personali e morali nell’ambito del rapporto familiare con l’obbligato che nessuna norma, per tal motivo, rimette ai terzi nè a questi consente di azionarla in surrogazione (tesi già affermata nella giurisprudenza di merito e confermata da Cass. civ., 5 agosto 1997, n. 7195)